Sono solo fantasmi, di Christian De Sica
In un Ghostbusters all’italiana, anzi alla “napoletana”, si consuma un interessante incontro generazionale tra vecchi e nuovi autori, riflettendo sul peso dell’eredità, cinematografica e personale
Thomas, ex mago in bolletta, e Carlo, napoletano, sottomesso a moglie e suocero settentrionali, sono due fratellastri che si rincontrano dopo anni a Napoli per la morte del padre Vittorio, giocatore incallito e donnaiolo. Scoprono di avere un terzo fratello, Ugo, apparentemente un po’ tonto ma in realtà un piccolo genio. L’eredità, agognata da Thomas e Carlo, sfuma a causa dei debiti del padre e i tre hanno una grande idea: sfruttare la superstizione e credulità napoletana, diventando degli “acchiappafantasmi“. Tutto sembra andare a gonfie vele, fino a quando i tre si accorgono di aver inconsapevolmente risvegliato lo spirito della Janara, una temibile strega che minaccia di distruggere Napoli.
“Volevo fare un film horror comedy e avevo chiesto al produttore di trovare i diritti del film L’Oscar Insanguinato con Vincent Price. Avevo in mente di fare un film, anche con Boldi, in cui due attori ormai falliti, vanno in giro a uccidere i giornalisti e i critici di cinema”. Diritti che purtroppo, continua a raccontare Christian De Sica, sono stati però complicati da reperire, anche se l’idea di unire i generi e di fare un remake è rimasta. Ecco che allora in suo soccorso è arrivato il soggetto di Nicola Guaglianone e Menotti, il duo che ha scritto Lo chiamavano Jeeg Robot (riportando di fatto il cinema italiano su percorsi colpevolmente abbandonati), ormai specializzato in operazioni di questo tipo. Guaglianone, specialmente, ha firmato non solo lo script di Sono tornato, che appunto riadatta il tedesco Lui è tornato nel nostro paese e soprattutto nella nostra storia, ma anche quello (tra i tanti altri) di La befana vien di notte, che invece guarda espressamente alle produzioni spielberghiane degli anni ’80, a partire dai Goonies.
Stavolta, il riferimento prescelto è chiaramente Ghostbusters, che tra la citazione e l’omaggio vede replicati anche diversi suoi passaggi cruciali. Allo stesso tempo, è proprio qui che si nota l’apporto di Guaglianone e Menotti, maestri nel trovare spesso la chiave giusta per trasporre storie internazionali (e universali) in un contesto a noi (italiani) più vicino e familiare, in questo caso con l’inserimento della farsa “napoletana” che caratterizza tutta la prima parte (mentre nel film di Ivan Reitman del 1984, l’esistenza dei fantasmi non veniva mai messa davvero in discussione). È nella seconda parte, invece, quando i protagonisti scoprono che è tutto reale, che Sono solo fantasmi vede salire, fino ad esplodere, la sua componente “horror”, seguendo una ben strutturata sceneggiatura firmata dallo stesso De Sica, insieme ad Andrea Bassi (Non ci resta che il crimine) e soprattutto a Luigi Di Capua, altro nome contemporaneo d’indubbia affidabilità in materia di “genere” (basti vedere la sua conoscenza sfoggiata in The Generi, appunto, in cui affianca Maccio Capatonda; oltre ovviamente al suo contributo nei due sequel, Masterclass e Ad Honorem, di Smetto quanto voglio).
Detto di una base più che solida, quindi, l’operazione di De Sica presenta naturalmente diverse differenze sostanziali. Se Ghostbusters trova la sua origine da una “cricca” ben consolidata (il regista Ivan Reitman e il gruppo di comici proveniente dal Saturday Night Live), in Sono solo fantasmi si consuma invece un curioso incontro generazionale. Da una parte quindi i “nuovi” autori del cinema italiano, ormai più che affermati, che guardano al passato per parlare del presente, dall’altra tre personalità, Christian De Sica, Carlo Buccirosso e Gian Marco Tognazzi, che invece quel passato l’hanno profondamente segnato. In questo interessante scambio culturale, poi, s’inserisce anche il figlio di Christian, Brando, più volte chiamato in causa dal padre per sottolineare il suo importante ausilio nella parte tecnica, più precisamente quella legata al sonoro e agli effetti speciali, vero fiore all’occhiello della pellicola, per la sua incredibile ed efficace resa visiva.
Tutto il film si muove allora su questa delicata ricerca dell’equilibrio. Una ricerca che parte dal “basso”, dalla messa in scena, che se da un lato può farla apparire poco inquadrata e a tratti confusa, risultando quindi controproducente, dall’altro le restituisce assoluta dignità formale, intervenendo proprio lì dove mostra dei punti deboli, aiutando a superarli grazie ai suoi diversi punti di forza. Se infatti, come detto, l’horror funziona molto, è la componente comica a traballare maggiormente, tra l’uso di un repertorio fin troppo risaputo, gag poco brillanti e una gestione dei tempi non sempre azzeccata. Eppure non mancano affatto i momenti riusciti, dalla surreale lettura del testamento guidata da Leo Gullotta al dialetto “puteolano” parlato dai giovani Francesco Bruni e Valentina Martone, sintomi di un desiderio di mostrare qualcosa di “nuovo”, sfruttando però un patrimonio artistico praticamente infinito.
Ed è sicuramente questo che rimane del film, malgrado i suoi difetti: una dovuta conferma dell’apertura al genere anche da parte di chi ancora “resisteva”, come se mancasse solo il loro consenso per evolvere definitivamente. Ed è da questo punto di vista che la ricerca dell’equilibrio all’interno del film si fa tematica. Il passato del cinema italiano si palesa attraverso innumerevoli citazioni cinematografiche, da L’oro di Napoli a Gli uomini, che mascalzoni…, fino ai riferimenti espliciti ai singoli individui che l’hanno esaltato e reso celebre, vedi la scelta dei nomi (e delle sembianze) del capofamiglia scomparso (Vittorio, interpretato da Christian) o del personaggio interpretato da Tognazzi (Ugo).
È invece nella caratterizzazione del “fantasma” Vittorio, nei racconti dell’infanzia di Thomas/Christian, che il sentito omaggio diventa qualcosa di ben più significativo e personale, per il regista quanto per l’intera pellicola. Il “fantasma” prende vita, ma non è solo di quell’epoca d’oro che non esiste più, di quell’eredità dannatamente pesante con cui le generazioni successive di cineasti si son dovuti confrontare, rimanendone spesso schiacciati; è anche quello di un padre, dal carisma e dalla genialità tanto immensi quanto opprimenti, verso un figlio, che quel peso l’ha dovuto a lungo portare nel corso di tutta la sua carriera; un figlio a cui semplicemente il padre deve mancare moltissimo e, attraverso quel cinema che ha segnato entrambe le loro esistenze, ha l’opportunità di parlargli ancora una volta.
Regia: Christian De Sica
Interpreti: Christian De Sica, Carlo Buccirosso, Gian Marco Tognazzi, Ippolita Baldini, Francesco Bruni, Valentina Martone, Gianni Parisi, Leo Gullotta
Distribuzione: Medusa Film
Durata: 99′
Origine: Italia, 2019
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani