Sono tornato. Incontro con Luca Miniero e il cast

Si è svolto oggi l’incontro con Luca Miniero e il cast del suo ultimo film, che racconta di un Mussolini redivivo nell’Italia di oggi, tra ironia e un filo di inquietudine. Dall’1 febbraio in sala

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Si è svolto oggi, presso l’elegante sede del teatro ottocentesco di Villa Torlonia, a Roma, l’incontro con la stampa per la presentazione del tanto atteso ultimo film diretto da Luca Miniero, Sono tornato, dedicato alla figura di un Benito Mussolini redivivo che si ritrova improvvisamente catapultato nella Roma multietnica odierna ad affrontare un presente inatteso, portandosi dietro il solito bagaglio di velleità dittatoriali e dispotiche con le quali la Storia lo ha conosciuto e successivamente giudicato. Il film di Miniero, interpretato brillantemente dall’attore Massimo Popolizio, nell’impegnativo ruolo del Duce, da Frank Matano, che veste i panni del coprotagonista Andrea Canaletti e dall’attrice Stefania Rocca, nel ruolo della bella e determinata Katia Bellini, uscirà in sala il prossimo 1 febbraio, distribuito da Vision Distribution in 400 copie.

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L’incontro con il regista e il cast, a cui si aggiunge anche lo sceneggiatore Nicola Guaglianone, inizia mirando subito al cuore del film – e del “problema italiano” – , ossia affrontando il tema urgente di quelle strane, inconsce, pulsioni che travalicano la politica stessa e mettono a nudo un popolo, al fondo, populista e fortemente influenzato dal sistema mediatico, che lavora incessantemente sul presente e sulla memoria del passato. Il regista, per l’appunto, esordisce così: «Mussolini che torna fa paura perché torna in un Paese che è già populista»; e Guaglianone continua: «È un film che parla di noi! Se tornasse Mussolini cosa succederebbe? … Un personaggio così ci mette di fronte alle nostre mostruosità». Parole senz’altro confermate dai fatti, appunto dalle riprese e dagli incontri avuti dalla troupe, durante la preparazione del film, con persone dimostratesi tutte molto “accondiscendenti”, quasi legate alla figura del dittatore fascista che appartiene (ancora) intrinsecamente al nostro stesso paesaggio culturale. Il regista ci tiene a sottolineare che il film non ha intenzioni propagandistico-ideologiche, che il personaggio attira lo spettatore in maniera “umana” e su un terreno esclusivamente emozionale – una delle fonti ispiratrici sembra essere stato il film Mussolini ultimo atto (1974), di Carlo Lizzani – , e che il lavoro cerca sempre di tenersi distante da qualsivoglia forma di giudizio sulla figura storica. Pur tuttavia, ci sarebbe da chiedersi se, a questo scopo, non sarebbe stato maggiormente indicato un luogo, per così dire, più neutro per l’incontro che ha presentato il film stesso e le sue tematiche.

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La domanda sul contesto attuale – la campagna elettorale – e il rapporto con il film tedesco Lui è tornato (2015) di David Wnendt, dove a tornare in vita era il magnetico Adolf Hitler (Oliver Masucci), proprio come fu nel romanzo omonimo di Timur Vermes, non poteva mancare, e Miniero risponde al primo quesito così: «Il fantasma di Mussolini gira molto nelle campagne per farsi pubblicità. È un personaggio che gli italiani hanno sempre giudicato con indulgenza, non come fu per Hitler». Alla seconda domanda risponde, invece, l’attore Popolizio: «Il rischio era di fare un film “italiota”, una parodia… I tedeschi sono quasi schifati da Hitler, in Italia invece vogliono farsi dei selfie con Mussolini». Rimane di centrale interesse il modo in cui Popolizio si è preparato a un ruolo di così alta responsabilità – non senza qualche paura, ma mai giudicando il suo personaggio, ci conferma l’attore genovese – , mettendosi nei panni di una delle figure, o meglio la figura per eccellenza, tra le più discusse della Storia mondiale: «Non abbiamo fatto un lavoro camaleontico, bisognava arrivare all’essenza. Spesso non so cosa fare, ma so cosa non devo fare! La mia possibilità di non essere legato alla mia faccia è un valore aggiunto… È la maschera che ti permette di ridere del personaggio».

Interviene, a questo punto, anche il giovane Frank Matano, tra tutti probabilmente il più esperto di candid camera, che nel film costituiscono una buona parte di materiale utilizzato – le persone credevano davvero di trovarsi in presenza di Mussolini e si sono “sfogate” con lui – , allo scopo di indagare e sviscerare i desideri repressi e le pulsioni (politiche) del popolo italiano, in specie sull’argomento così tormentato dell’immigrazione. Rispetto al suo personale approccio con la figura di Mussolini, Matano racconta di aver avuto un nonno simpatizzante fascista, e aggiunge: «Molte persone hanno dimenticato cos’ha fatto Mussolini, notavo una profonda nostalgia per un’epoca mai vissuta… Ma la dittatura non è la strada giusta!». Su questa scia, Miniero ribadisce una volta di più la responsabilità del popolo italiano che ha votato e si è consegnato nelle mani del dittatore, così come quest’ultimo nel film troverà inspiegabilmente un’altra forma di successo nel nostro Paese, che stavolta sarà di natura mediatica: «Mussolini è l’emblema del populismo, che non dice niente eppure ci convince. È questa la cosa drammatica, che è simile a noi! La gente ha dimenticato e nel film ce lo ricorda una donna malata di Alzheimer». Chiude quest’incontro, così appassionato, proprio l’attrice teatrale Ariella Reggio, l’ottantenne nonna Lea, protagonista insieme al Duce della scena più coinvolgente del film, che ci ricorda l’importanza non solo del ricordo in sé – la donna è, per l’appunto, malata di Alzheimer – , ma della pura emozione trasmessaci dalla scena del riconoscimento di Mussolini, dove anche lo spettatore saprà ridestarsi dalla farsa del comico cogliendo il senso più profondo della lezione che lo riguarda.

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