Sons, di Gustav Möller
Il regista svedese torna ad indagare la questione morale negli individui in divisa con una storia ambientata in carcere che perde di intensità e ritmo verso il finale.

Cosa faresti se avessi casualmente tra le mani la persona che più detesti al mondo? Come ti comporteresti se la persona che ti ha rovinato la vita fosse in una posizione di difficoltà e in tuo completo potere? Sei anni dopo l’apprezzabile Il colpevole – The Guilty, Gustav Möller torna ad affrontare il dilemma etico e morale negli individui in divisa, stavolta all’interno di un carcere. Sons, titolo con il quale è stato distribuito Vogter, letteralmente “guardiano”, racconta la storia di Eva (Sidse Babett Knudsen), una guardia carceraria dall’animo gentile che cerca di mantenere un buon rapporto con i suoi detenuti. La situazione cambia nel momento esatto in cui arriva nel carcere un giovane di nome Mikkel (Sebastian Bull) ed Eva, inventando una scusa col direttore, chiede il trasferimento nel blocco di massima sicurezza per tenere il ragazzo sotto controllo. Fin da subito l’ossessione della donna per il giovane è lampante e sottolineata a dovere dal regista, ma solo col passare dei minuti diventa realmente chiaro il motivo esatto di tale insistenza.
Per certi versi il lavoro del secondino ricorda molto il ruolo pedagogico che spetta a un genitore. Bisogna sorvegliare con attenzione, educare il più possibile, punire o premiare a seconda dei momenti, ma soprattutto l’obiettivo principale resta la preparazione al mondo esterno, l’inserimento o reinserimento nella società civile. C’è qualcosa di molto materno nel modo in cui Eva sveglia ogni mattina i detenuti del suo blocco, come tanti figli nelle loro stanze di cui deve prendersi cura, sia quando si tratta di rimproverarli e sia quando si trova a tenere delle lezioni collettive di yoga. Questa dinamica madre-figlio svanisce quando si trova ad avere a che fare con Mikkel, con lui inizia a comportarsi in maniera opposta, cominciando con dei piccoli dispetti per poi aumentare gradualmente il livello del tormento. Il punto di non ritorno è il giorno della visita in carcere della madre di Mikkel, lì Eva perde il controllo e decide di compromettere del tutto la vita del ragazzo, anche a costo di rischiare lei stessa in prima persona.
Möller segue Eva con camera a mano, un modo per restituire il senso di instabilità ed incertezza che caratterizza il personaggio. Quando la situazione inizia a capovolgersi e Mikkel prende in mano la situazione, lo sguardo di Eva cambia, da soggetto attivo e predatore a preda passiva e oppressa. Nel momento del cambio di percezione il regista allenta la tensione non riuscendo a mantenere quel ritmo che aveva contraddistinto la prima parte del film. Il rapporto con i colleghi rimane su un livello fin troppo superficiale, ed è un peccato data l’impressione di solidarietà cameratesca che si intravede nell’ultimo atto. La relazione tra Eva e Mikkel è chiaramente la più dettagliata e approfondita del film, giocata gran parte sul piano vittima-carnefice in un continuo ribaltamento dei ruoli che coinvolge sì, ma arrivati ad un certo punto della storia risulta davvero ripetitivo.
Titolo originale: Vogter
Regia: Gustav Möller
Interpreti: Sidse Babett Knudsen, Sebastian Bull, Dar Salim, Jacob Lohmann, Marina Bouras, Olaf Johannessen, Thomas Voss, Siir Tilif, Rami Zayat, Mathias Petersen, Lone Rødbroe
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 100′
Danimarca, Svezia, Francia 2024