SOTTODICIOTTO FILM FESTIVAL 10 – Happy Goes Leigh

mike leigh a torinoE' arrivato a Torino Mike Leigh, a cui il Sottodiciotto in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema e la Cineteca di Bologna dedica una retrospettiva, e un volumetto delle edizioni Cineforum davvero delizioso. Abbiamo incontrato il regista britannico di Happy Go Lucky, affabulatore e spiritoso, tra una tazza di the e l'altra

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mike leigh a torinoDopo un'inaugurazione (27 novembre) a misura di bambino con l'anteprima di Nat e il segreto di Eleonora di Dominique Monféry, Sottodiciotto entra nel vivo con un menu più da cinephile.
Del resto ci aveva avvertito la direttrice Sara Cortellazzo: "Per favore, non chiamatelo il festival dei bambini". Ebbene se agli under 18 è dedicato molto spazio, sia come cineasti che come spettatori, anche un pubblico più adulto a Sottodiciotto troverà diverse chicche.
Ieri ad esempio è arrivato a Torino Mike Leigh, a cui il Sottodiciotto in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema e la Cineteca di Bologna dedica una retrospettiva, e un volumetto delle edizioni Cineforum davvero delizioso.
Abbiamo incontrato il regista, che si è detto onorato di essere il protagonista di un omaggio in una città "così affascinante e che tanto ha a che spartire con il cinema".
Affabulatore e spiritoso, tra una tazza di the e l'altra, Mike Leigh ci parla del suo inusuale e personalissimo metodo creativo, dei cineasti che lo hanno influenzato (tra gli italiani Olmi e De Sica) e del suo cinema, a cui le definizioni stanno strette. Ha appena finito di girare il suo ultimo film, che ora è in sala di montaggio, ma per ora preferisce tenersi per sé i dettagli.
I suoi film, dai suoi esordi a Happy Go Lucky,  vengono spesso catalogati con la formula "cinema degli invisibili". "Sì, posso capire il motivo di questa definizione – dice il regista – ma ritengo che il mio cinema sia assai più complesso e non è facilmente definibile". I suoi personaggi, spesso emarginati dalla società, tuttavia per Leigh sono il centro del mondo, il suo, quello creativo e il mondo tout court, in cui le persone sono centrali.
Riflette sulla parola emarginato, il regista: "E' difficile dire oggi cosa sia il margine. Tutto dipende da dove ci si posiziona. Se sei lontano dalla gente, dalla vita, allora i miei personaggi sono emarginati. Tutto sta a vedere dove ci si posiziona. Dal mio punto di vista io tratto di persone che sono al centro dell'universo, ognuno di noi lo è. D'altro canto è vero che i miei personaggi sono soli, isolati rispetto al resto della società. Ma voglio dire, in fondo, ciascuno di noi nella sua vita può trovarsi in questa situazione, no?".
"Molti pensano che i miei film siano lenti – prosegue Leigh – ma rispetto a certi film di Antonioni, le mie pellicole sono le Silly Simphonies di Disney". Chi l'avrebbe detto che un regista così rigoroso e pluripremiato nei festival di mezzo mondo coltivi il gusto per la battuta e i giochi di parole?
Insomma il cinema di Leigh descrive la realtà che ci circonda. E' uno dei compiti che l'arte si deve dare è proprio questo, spiega il regista: "Gli artisti hanno antenne sempre tese e devono assorbire quanto accade nella realtà circostante".
E così il suo metodo creativo nasce dall'osservazione empirica della realtà, per poi arrivare a girare il film,niente soggetto e sceneggiatura come punto di partenza. Non è tuttavia un cineasta che si lascia andare all'improvvisazione. Per mesi e mesi, in un lavoro più simile a quello di un ensemble orchestrale, insieme ai suoi attori costruisce i suoi personaggi con una tecnica artigianale e raffinata, che ci spiega per sommi capi. "E' un segreto industriale" sottolinea. Per cui ci svela appena quali sono i suoi "attrezzi del mestiere". "La maniera in cui costruisco i miei personaggi e i complessi rapporti familiari che li legano ha molto a che fare con la recitaz

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leigh sul set di happy go luckyione. In genere scelgo attori sofisticati, di grande intelligenza, creatività, capaci di diventare personaggi a tutto tondo, che sappiano mettere da parte il loro ego, ma sappiano anche dare al personaggio qualcosa di personale e con loro lavoro per fare emergere il personaggio. La costruzione del film è una ricerca, un'investigazione. Per mesi lavoro sugli attori e non giro nulla. All'inizio nessumo dei miei attori conosce la storia e la parte deglia ltri colleghi. Così gli attori lavorano sullo sviluppo del film senza preconcetti e piano piano arrivano a lavorare come una piccola orchestra, in cui ognuno fa il suo pezzo, ma avendo ben presente che è inserito in un universo più vasto".
Il suo sguardo lucido ed esatto sul mondo della gente in un certo senso lo accomuna ad un altro grande regista inglese, Ken Loach. "Quello che condividiamo è soprattutto il fatto di avere entrambi iniziato facendo film per la tv, descrivendo la gente comune. E questo devo dire è ancora un punto comune tra noi. Tuttavia il messaggio di Loach ha un preciso contenuto politico, da marxista impenitente direi. Io invece preferisco non dare un messaggio preciso. Preferisco dialogare con il pubblico. E il pubblico che deve costruirsi da solo un suo personale messaggio. Io sono un affabulatore nato e mi piace raccontare storie e situazioni con un tocco di umorismo".
E se già prima ci aveva detto che le definizioni gli stanno strette, guai a dire che il suo cinema è molto britannico. "Credo di essere un cineasta del mondo. Mi riconosco nel cinema di De Sica, Olmi, Kurosawa, e in quello della Nouvelle Vague francese. Certo le mie radici sono britanniche, ma nel senso che è dai tempi di Charles Dickens che gli artisti inglesi parlano della gente comune".
E infine chiediamo a Leigh un consiglio, per i giovani che desiderano intraprendere la carriera di cineasta. "La buona notizia è che negli ultimi 10 anni la tecnologia aiuta la creatività. Oggi il digitale permette di fare film nel mondo reale utilizzanod mezzi non costosi – dice Leigh – Il mio consiglio è: fate film senza scendere a compromessi. fate film che trattino di argomenti che provengono dal vostro intimo, dal profondo, che riescano a tirare fuori la vostra voce personale, non film che rimandano ad altri film o ad altri autori. Giovani attingete alla realtà, al mondo esterno, con uno sguardo, una prospettiva personali".

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