SPECIALE A STAR IS BORN – Fratello, dove sei?

Essere il fratello maggiore convince di avere diritto a una vita migliore, al talento, a tutto, Scoprirsi il fratello peggiore può essere un fallimento. Bobby tquesto lo sa maledettamente bene

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Il sogno di Bobby Maine era sempre stato quello di girare l’America con la sua band, cantare del buon country, magari su qualche palco insieme a Willie Nelson, e far sentire al mondo la sua voce. Non ci pensava minimamente di perdere ancora tempo dietro quell’ubriacone di suo padre. Non solo il vecchio era scappato da tutto per finire in una piantagione spersa nell’Arizona ma aveva avuto anche la grande idea, a sessant’anni suonati, di mettere incinta la figlia minorenne del fattore. La crisi di mezza età si era presto trasformata in tragedia quando la ragazza, troppo fragile, era morta mentre metteva alla luce il piccolo Jackson, il suo fratello minore. Ad anni di distanza, l’idea di aver lasciato il suo fratellino crescere con quel alcolista di loro padre era un’idea che lo mortificava ancora, alcune notti non riusciva nemmeno a chiudere occhio tormentato dal senso di colpa. Ma, per Dio, non era un suo diritto quello di trovare la propria strada, di cercare di farsi ascoltare, di provarci?

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La vita, si sa, ti tira gli scherzi peggiori ed è così che il povero Bobby si era ritrovato, dopo trent’anni, retrocesso dal palco al backstage, da artista a manager invisibile, a far passare l’ennesima sbronza a quel fratello, diventato nel frattempo una star internazionale, dotato di un talento straordinario che non si poteva lasciar morire. Dall’istante in cui Bobby aveva sentito Jack cantare, il suono delle sue parole e la musica della sua chitarra lo avevano scaraventato di fronte il suo destino da gregario, imprigionato al ruolo di fratello più grande, di padre di riserva, di mentore controvoglia.

Chi non lo è, non può sapere quanto è difficile ritrovarsi fratello maggiore. Finiti i tempi feudali della supremazia della primogenitura, ragionare su questa condizione può risultare fuori tempo. Essere il più grande non significa essere il più bravo. Eppure chi è segnato da questo marchio indelebile di essere il primo sa che alle volte, in quel rapporto folle e naturale che si instaura nell’economia famigliare, in quell’equilibrio sentimentale che si forma tra genitori e figli, essere il maggiore significa anche sobbarcarsi di alcune “atroci” responsabilità. Bisogna, infatti, essere un modello per i fratelli minori, prendersi cura di loro, cercare di impersonare, allo stesso tempo, il ruolo del miglior amico e del terzo genitore. Tutto questo nonostante le incomprensioni, le differenze di carattere, le convivenze forzate, i litigi. Perché, come si dice spesso, a differenze degli amici o degli amanti, i fratelli non si scelgono.

Se poi ci mettiamo che questa supremazia filiale costringe, per forza di cose, a convincersi di essere dei predestinati, a detenere il diritto a una vita migliore, a grandi fortune, al talento, a tutto, accorgersi che nonostante l’età si è il figlio “peggiore” può essere una fine tragica, un fallimento esistenziale. Bobby tutto questo lo sa maledettamente bene e gli è venuto in mente ogni volta che Jack è svenuto nei corridoi degli alberghi, si è presentato sbronzo sul palco, si è rifiutato sdegnato di farsi aiutare per i suoi problemi di udito. Ogni parola d’accusa, ogni gesto di vicinanza rinfacciato è stato una coltellata. Quanto talento sprecato nelle mani di questo debosciato, di un ragazzino infantile che si è cullato in una fortuna sfacciata, di un ingrato che, ogni giorno che passa, assomiglia di più a quel bastardo di loro padre.

Alla luce di tutto ciò, di questo rancore che lo ha lacerato per anni, Bobby ancora non sa perchè ha deciso di sacrificare la sua vita dietro a lui, ad accordargli le chitarre, a combattere per lui contro tutti, a proteggerlo dai suoi nemici, a salvarlo dalle sue malattie. Perché non ha mai potuto a spezzare questo maledetto legame, a diluire in acqua questo sangue nero che li ha tenuti attaccati per sempre? Perché, nonostante tutto, non è riuscito a uccidere l’amore sconfinato per quel maledetto ragazzino? Queste sono le parole che il vecchio cantante mancato, oggi, seduto in un bar, davanti a quel bicchiere vuoto che per anni ha odiato, si ripete ossessivamente. Mentre sta affogando nelle lacrime, con il cuore spezzato, alla radio la voce di Jack, intorno a lui decine di ragazzi che cantano le sue parole. Alla fine, dopo tutte le domande, solo una si apre glaciale dentro lui, ad un passo dalla solitudine che, ne è certo, lo accompagnerà per sempre: Jackson, fratello, dove sei?

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