SPECIALE "AMELIE" – Un altro mondo è possibile

In “Amélie” solo in una dimensione fiabesca contraffatta è possibile fare di ogni asperità virtù. Unicamente nel suo “favoloso mondo”, non nel nostro, è possibile essere buoni e generosi. Un assunto molto amaro e per nulla (ri)conciliatorio

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"Amélie" divide e fa discutere, è già una bella cosa. Personalmente condivido quanto del film ha scritto Massimo Causo, ma capisco alcune delle critiche mosse da Giona Nazzaro. Ho in altre sedi definito il film ruffiano e nazionalpopolare. Lo ribadisco. Così come rivendico a Jeunet (regista che peraltro non amo) il diritto di invitare a letture di secondo o terzo grado. Per esempio: stando all’avventura di "Amélie" solo in una dimensione fiabesca contraffatta è possibile fare di ogni asperità virtù. Non è un discorso buonista, anzi. Unicamente nel suo “favoloso mondo”, non nel nostro, è possibile essere buoni e generosi. Un assunto molto amaro e per nulla (ri)conciliatorio. Da qui il rifiuto della presa di posizione “inrockuttibile” di Giona, a proposito “dell’immaginario come campo di concentramento” o “dell’elogio dell’inautenticità”. Quanto alle facili formule dialettiche sul cinema “globalizzante”, di cui "Amélie" sarebbe simbolo, sono poco credibili se fatte da chi, in ogni sede, difende e addirittura esalta l’opera di Jerry Bruckheimer, il cui sguardo è multinazionale per definizione.

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P.S.
Un ultima precisazione su “Il Signore degli Anelli”. Temo che il passaggio sul “fantasma personale” sia stato frainteso; mi riferivo a quello di Peter Jackson evocato dall’immaginario di Tolkien, era quindi un riferimento letterario e non cinematografico. Non ho mai amato il cinema del regista neozelandese e sono quindi ben felice che in questo suo film ci sia ben poco di “personale”.

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