SPECIALE DARIO ARGENTO – Dolci freaks della periferia americana: "Trauma"
Quelle strane ragazze che abitano in fondo al viale: filmare un corpo incompiuto.
Hansel e Gretel a Minneapolis: mai credere al lieto fine di una favola.
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Distribuzione home video: Cecchi Gori
Quelle strane ragazze che abitano in fondo al viale


Hansel e Gretel a Minneapolis vendono cara la pelle.
Tra i tanti rimandi tra Profondo Rosso e Trauma, di cui il secondo film, inizialmente chiamato L’Enigma di Aura, voleva essere una sorta di rielaborazione generazionale dopo vent’anni (seguendo l’analisi comparativa completa e dettagliatissima tra le due pellicole, disponibile qui) troviamo la psicosi di un personaggio femminile che non riesce a dimenticare i propri demoni: In Profondo Rosso, perdere la testa (origine dei labirinti mentali) è l’estrema ironia dei contenuti psicanalitici del film; in Trauma la decapitazione del personale medico è proprio l’unico modo in cui una madre privata della sua (testa) memoria può esigere vendetta. Sulle scene degli omicidi ha lavorato Tom Savini: «Il mio lavoro principale era di curare le decapitazioni. Il mio scopo, in questo campo, era di far dimenticare quella straordinaria de La maledizione. Non è una cosa facile. Un giorno (Dario, n.d.r.) mi ha addirittura detto “Se questa testa non rotola in modo abbastanza pulito, è la tua testa che rotolerà..” » (in Dario Argento, a cura di Gabrielle Lucantonio, Dino Audino, 2001). Altro motivo ricorrente in entrambi i film è una descrizione dello spazio dove architettura e geografia agiscono come una proiezione di tutti i percorsi mentali dell’eroe (Marcus Daly in Profondo Rosso vaga per una Torino deserta in una rappresentazione di estrema solitudine e oppressione, e in Trauma è presente come un’evoluzione di questa figura: è uno spazio malvagio e insieme incantato: la periferia americana con i suoi sobborghi, giardini, motel, farmacie (è la prima volta che Dario gira a Minneapolis) in cui David, da americano, sembra perfettamente inserito rispetto alla piccola rumena depositaria di una lunga tradizione di stregonerie e superstizioni, ma diventa ben presto uno straniero: è ispirato il momento in cui David cerca Aura, che crede morta, nell’acqua dolorosamente calma di un lago battuto dai riflessi della luna: sono scene come queste che donano a Trauma un suo particolare carattere poetico. David è in cerca della sua Ofelia preraffaellita, che giace nel dipinto di Millais in una bottega (nella stessa scena, si intravede anche la Salomé art nouveau di Aubrey Beardsley, un’altra con il vizio della decapitazione..). Se Aura è una specie di Alice nel paese delle meraviglie che deve ingurgitare una bacca rossa per ricordare, l’amore di David per Aura fa di lui una seconda Alice, lo conduce come in un incubo, guidato da un amuleto (il bracciale di lei), fino a chiuderlo con lei in una gabbia (i due si ritrovano chiusi in una “gabbia” come Hansel e Gretel al cospetto di Adriana Petrescu, madre folle e incantatrice che conserva il ricordo del suo Nicholas in una nursery stregata, che incombe pronta a uccidere, e che Aura cerca ancora inconsciamente come madre affettuosa, perfino quando di lei sarà rimasta soltanto la testa..
La peculiarità di Trauma è che si tratta dunque di una storia d’amore vera e propria? Aura nel film viene contrapposta in senso positivo, con tutte le sue insicurezze, alla perfida conduttrice televisiva che è occasionalmente l’amante di David e che si fa complice della struttura medicale che opera sul disagio della ragazza esclusivamente con legacci e sedativi, manovre totalmente indifferenti alla sua persona; David è un principe azzurro sui generis, ma le immagini finali riconsegnano certamente questi due personaggi dal rapporto innocente alla protezione di un destino destinato a colmare tutte le difficoltà che hanno segnato la vita dei due. Aura in uno dei pochi attimi di serenità si ferma a sorridere a un musicista di strada, e se le riprese finali di Trauma dopo il classico «è tutto finito» inquadrano un abbraccio, una dichiarazione d’amore e la tranquilla periferia di quartiere, fermandosi su un gruppo di musicisti reggae che suona su un balcone – con effetto straniante, ma che sembra indirizzato verso l’idea di un lieto fine – ecco un brivido diverso: l’obiettivo si stringe sul corpo, magrissimo, e sul volto, di una ragazza dai capelli lunghi, infinitamente triste, che danza distrattamente al ritmo di una canzone che scompare, sostituita da Ruby Rain, mentre i colori assumono i toni di una vecchia fotografia. Anche senza informarci, e venire a scoprire che si tratta di Anna Ceroli, nata da una precedente relazione di Daria Nicolodi e alla cui esperienza di anoressia si è rifatto lo stesso Argento per Trauma, l’immagine della ragazza (scomparsa nel ’94 per un incidente in motorino) con i capelli al vento, già coperta dai titoli di coda, vestale innocente come la Connelly in Phenomena, ma dal volto tanto più distante e malinconico, è la il simbolo della persistenza del disagio, dissimulato ma doloroso, di cui questa è solo una delle possibili forme nella complessità dell'esperienza umana, e conferma definitivamente la natura intima di questa esperienza filmica. Ma c'è poi una differenza così grande?