SPECIALE HORROR – Le ceneri del Bel Paese

il bosco fuori
A rotta di collo attraverso il cinema horror italiano dell'ultimo decennio; sempre che ne esista uno, ovviamente… Ma le lamentele e i funerali non sono mai stati di grande aiuto per nessuno: tanto vale quindi ricordare cosa di buono c'è stato, o quantomeno cosa è davvero riuscito a lasciare un segno, e cosa invece no. 

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dellamore dellamortea Fabio Salerno (1965-1993),

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perso ma non dimenticato.

 

 

 

 

Se fosse solamente una questione di numeri, si potrebbe quasi pensare di essere ritornati ai fasti di un tempo. Scorrendo infatti il numero di pellicole italiane prettamente horror realizzate negli ultimi anni (indipendentemente se siano uscite nelle sale oppure direttamente in dvd), ci si può rendere conto di un sottobosco produttivo impensabile, ad esempio, solamente negli anni Novanta. Già, i Novanta: un decennio terribile per l’horror tutto, a prescindere dall’appartenenza geografica. Un lungo periodo che ha visto l’isolamento dei suoi maestri (con Romero stipendiato per dieci anni dalla New Line, senza la possibilità di vedere realizzate le proprie proposte, e con Carpenter progressivamente sempre più lontano dalle dinamiche produttive di Hollywood), e la tramutazione giovanilistica del genere, cominciata (bene) con Scream di Wes Craven e poi degenerata dal medesimo, mefitico, Kevin Williamson’s touch. E in Italia? Da noi si è soliti identificare gli ultimi palpiti vitali con Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, ma in realtà la morte cerebrale è avvenuta già alla fine degli anni Ottanta, con lo stesso Soavi: La Chiesa, prodotto da Dario Argento, rappresenta forse il testamento di quel mondo e di quell’epoca, prima di un annichilimento (produttivo, artistico, commerciale) dal quale non sembriamo essere usciti ancora oggi. Nel 2013 si può tranquillamente dire che l’horror nel mondo abbia definitivamente rialzato la testa: lo ha fatto negli Stati Uniti, così come in Giappone e pure in Europa. Ovviamente con esiti alterni, e con fin troppe concessioni alle mode del momento (i remake, i mockumentary), ma pur sempre guardando al mercato in maniera attiva e propositiva.

 

In Italia, invece, si può solamente ringraziare l’avvento del digitale e il conseguente abbattimento di buona parte dei costi di produzione: se oggi il nostro cinema dell’orrore esiste ancora, lo si deve solamente allo spirito autarchico e indipendente dei suoi realizzatori. Considerando Dario Argento un universo filmico completamente a parte, manca del tutto un’industria degna di questo nome; manca il coraggio e, probabilmente, manca anche il pubblico. Non è certo questa la sede per analizzare un fenomeno così complesso in maniera completa ed obiettiva, tante sono le cause e i fattori da prendere in considerazione; e non vuole essere questa nemmeno un’ occasione per manifestare disappunto, poiché sarebbe solamente l’ennesimo grido di allarme lanciato nel vuoto. Lasciamo quindi che per un attimo siano i film a parlare, per cercare quantomeno di stilare un bilancio provvisorio della situazione. Data la grande quantità di titoli proposti negli ultimi anni, preferiamo qui concentrarci su quelli di maggiore spessore o, in alternativa, su quelli di maggiore interesse ai fini generali del discorso.

 

E’ una gradita coincidenza che, al momento di scrivere, sia ancora nelle sale The Butterfly Room di Jonathan Zarantonello:custodes bestiae una pellicola certamente non esente da difetti, ma che riesce comunque a dimostrare il talento visivo del suo autore, costretto purtroppo ad emigrare in America dopo anni di militanza indipendente in Italia (Medley e UncuT – Member only). Il fatto che un prodotto di qualità sia riuscito ad ottenere una distribuzione, per quanto limitata, è un risultato che acquista un valore ancora più grande, soprattutto alla luce di altri esempi: primo tra tutti In the market, probabilmente l’equivoco più disastroso raggiunto in tal senso. Perché lo chiamiamo equivoco? Proiettato in diversi cinema del territorio nazionale, lo slasher di Lorenzo Lombardi è l’ennesima sferzata mortale inflitta al nostro cinema; con tutto il rispetto per il suo autore e la sua buona volontà (che non mettiamo assolutamente in discussione), è un film che non sembra mai rendersi conto dei propri limiti macroscopici, assestandosi su un livello di amatorialità che ne coinvolge qualsiasi aspetto: regia, sceneggiatura, recitazione. Chiedersi come mai un prodotto simile esca nelle sale quando, ad esempio, un Lorenzo Bianchini è ancora confinato nel limbo degli sconosciuti, si sa, è una domanda retorica. Ma è anche questo che uccide il nostro mercato e la nostra industria. Il friulano Bianchini ha infatti realizzato due tra i migliori horror italiani dell’ultimo decennio: Lidris cuadrade di tre e Custodes Bestiae, fortunatamente distribuiti in dvd. Poi, purtroppo, l’oblio. Chi ha sentito parlare dei suoi ultimi Film sporco e Occhi? Nessuno, appunto. Ha da poco terminato un nuovo film, Oltre il fiume (Across the river): non appena sarà possibile saperne di più, ne riparleremo.

 

blood lineUn altro regista che ha dovuto penare non poco, prima di riuscire a farsi un nome anche da noi, è Ivan Zuccon: attivo dal 1995 e molto apprezzato all’estero, dove i suoi lavori (quasi tutti tratti da racconti di H.P. Lovecraft) sono tranquillamente reperibili in home video, Zuccon è stato distribuito per la prima volta in Italia solamente l’anno scorso, con Colour from the dark. A nostro avviso non il suo film migliore, ma essere riusciti a vederlo in sala è comunque un piccolo miracolo: in attesa del suo ultimo Wrath of the Crows, è possibile intanto reperire Bad Brains, L’altrove, Il figlio dell’altrove e La casa sfuggita. Sempre lo scorso anno è uscito nelle sale un esordio in grado di sorprenderci piacevolmente: Bloodline di Edo Tagliavini, un film che a tratti sembra recuperare quella libertà stilistica e formale del Fulci migliore, senza inutili ambizioni ad appesantire il tutto. Non è un’opera seminale né tantomeno perfetta, ma che fa decisamente ben sperare per il futuro del suo autore.

 il bosco fuori

Speranza e fiducia che invece il giovanissimo Gabriele Albanesi ha tradito con la sua opera seconda: Ubaldo Terzani Horror Show, nonostante un bravissimo Paolo Sassanelli come protagonista, risulta decisamente mediocre e velleitario, forse un passo troppo lungo per chi non è ancora pienamente consapevole delle proprie potenzialità. L’opera prima di Albanesi, Il bosco fuori (distribuito negli Stati Uniti da Sam Raimi), manifestava infatti capacità visive timide ma tutto sommato evidenti, che il regista romano deve ora dimostrare di saper portare avanti. Sempre a proposito di promesse mancate, nel 2000 Almost Blue di Alex Infascelli, dal romanzo omonimo di Carlo Lucarelli, illuse molti sulla possibilità di una reale ventata di aria fresca sul Genere italiano: peccato che il successivo Il siero della vanità, di gran lunga superiore, sia passato pressoché inosservato. Dopo l’indifendibile e pretenziosissimo H2Odio, Infascelli è tornato al thriller puro e semplice con il televisivo Nel nome del male, scritto – tra gli altri – da Paola Barbato, sceneggiatrice di punta di Dylan Dog.

 

Un destino simile è capitato anche al pur talentuoso Eros Puglielli, che però arriva al giallo/horror solamente al terzo film: Occhi di cristallo piace a pochi e finisce velocemente nel dimenticatoio, mentre AD Project (finanziato dal progetto The Coproducers, cioè da tutti i partecipanti al film che detengono una quota sugli utili) farà la sua comparsa direttamente sugli scaffali delle videoteche. Immeritatamente: il film è più che dignitoso, e meriterebbe una piccola riscoperta. Come molti colleghi prima di lui, anche Puglielli oggi è relegato nel mondo delle fiction televisive.

 

l'arrivo di wangLo sanno bene pure i Manetti Bros. , attivissimi per il piccolo schermo (spot, videoclip, la serie L’ispettore Coliandro) ma presenti anche al cinema, addirittura due volte solamente l’anno scorso. Se Paura, pur non riuscitissimo, è un esperimento insolito per il cinema italiano (a partire dall’utilizzo del 3D), allora L’arrivo di Wang è davvero un alieno, un UFO, un ibrido che rifiuta qualsiasi categoria per manifestare tutta la propria follia anarchica; un cinema che osa e che non ha timore di sbagliare, mantenendo allo stesso tempo uno sguardo lucido e penetrante sulla realtà che lo (e ci) circonda.

 

Arriviamo infine a lui, Federico Zampaglione, croce e delizia dell’horror italico degli ultimissimi anni. Il suo Shadow è stato infatti bersaglio di numerosissime critiche, ma anche di elogi smisurati: ne sappiamo qualcosa anche noi di Sentieri Selvaggi, dal momento che la stroncatura del film, apparsa sul sito in occasione del Trieste Science+Fiction, scatenò un vero e proprio dibattito tra i lettori. Dibattito che assunse ben presto la forma di delirio talebano, e nel quale intervenne lo stesso Zampaglione per cercare di placare gli animi. Shadow rimane certamente un film superiore alla media italiana dell’ultimo decennio, questo è inutile negarlo; è altresì giusto però riconoscerne i limiti, soprattutto in termini di forti debiti nei confronti del cinema passato (il film sembra una sorta di remake non dichiarato del bellissimo Allucinazione perversa di Adrian Lyne), al punto che se fosse stato realizzato da una cinematografia più potente della nostra, sarebbe quasi certamente passato inosservato. In attesa di vedere il suo ultimo Tulpa, non si può comunque fare a meno di riconoscere a Zampaglione un amore sconsiderato nei confronti della materia trattata, nella speranza (vana, lo sappiamo) che il suo esempio possa smuovere le acque del nostro desolante panorama attuale.

 

In conclusione di questa rapidissima carrellata, tre segnalazioni di matrice orgogliosamente indipendente che vogliamo consigliare ai nostri lettori. La prima è Eaters di Luca Boni e Marco Ristori: uno zombie-movie dai toni apocalittici che ha fatto parlare di sé soprattutto per l’interesse del “famigerato” Uwe Boll, il quale ha comprato i diritti per il mercato estero (tramite la sua Boll KG). La seconda è Morituris di Raffaele Picchio, scritto e prodotto da Gianluigi Perrone: exploitation di una violenza quasi insostenibile, al punto che in Italia è stato bloccato dalla censura (non succedeva dai tempi di Totò che visse due volte di Ciprì e Maresco). Un film che può suscitare interesse o rifiuto incondizionato, ma che certamente non merita l’oblio forzato al quale è stato sottoposto (all’estero è comunque disponibile sia il dvd che il blu-ray). Chiudiamo con un interessante progetto a episodi che siamo ancora in attesa di poter vedere: The Pyramid, diretto da Alex Visani (mente dell’iniziativa e fondatore del sito The Reign of Horror), Roberto Albanesi, Luca Alessandro, Simone Chiesa e Antonio Zannone.

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    2 commenti

    • daniele castellini

      Incredibile l'incompletezza di certe "carrellate" sul nostro cinema che dovrebbero dare una idea completa e poi? Si riesce a parlare del film a episodi di Visani (lo scadentissimo pyramid) e non si parla del film che ha vinto il fantafestival P.O.E. 2 che è seguito del precedente POE (unico film no budget ad esser uscito nelle sale questo anno, oltre che aver avuto distribuzione americana lo scorso anno) sempre ad episodi e generatore di tutta la nuova wave di film corali. Non si parla del vincitore di festival importanti tra cui il fantafestival anche 3 anni fa, Domiziano Cristopharo, premiato anche a Nizza e Sydney e autore del cult HOUSE OF FLESH MANNEQUINS o di film no budget come MUSEUM OF WONDERS che vantano cast di star come venantino venantini, maria grazia cuciunotta e giampiero ingrassia tra i tanti. Si dimentica Federico Greco, che con Road To L. ha avuto distribuzione estera perfino paramount, ci si scorda di Antonio Monti autore di Monkey Boy apprezzatissimo …

    • Bloodline di Tagliavini è orrendo, e su Albanesi stendiamo un velo pietoso perché vengono in mente solo parolacce per definire i suoi film (?). Segnalo invece un ottimo horror come Fairytale, distribuito prima su Cubovision e poi in homevideo, davvero di livello. Sarebbe bello poter vedere gente come Bianchini o Zuccon con una produzione di livello, potrebbero fare quel salto di qualità definitivo che ancora manca. Ma il talento c'è.