SPECIALE "IL CARTAIO" – Fine di un amore

Argento si è esaurito. Non ha più ispirazioni per rapportarsi con il mondo. Si è richiuso in se stesso, in una sorta di onanismo creativo i cui risultati, con Il cartaio quale triste epilogo, dimostrano quanto il suo fare cinema sia ormai una pratica autoreferenziale e profondamente sterile. Un intervento polemico "controtendenza" di Mauro Gervasini.

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Dario Argento sta al thriller/horror come Tinto Brass all'erotico. Stesso sguardo taroccato su presunti simulacri della vita (il sangue, il sesso), ridondanti nella loro inerme e oscena falsità. È grave che gli esegeti del cineasta romano si arrampichino sui vetri in solipsistiche difese d'ufficio, invocando una sua superiorità di visione rispetto a qualunque altra categoria filmica. Non cadremo nella trappola. È evidente che ad Argento della recitazione degli attori, della messa in scena coerente e della sceneggiatura non freghi assolutamente niente. Ebbene, neanche a noi. Se al regista fa piacere che le proprie opere suscitino in chi guarda ilarità e non paura, se i suoi meccanismi di rappresentazione scelgono una comicità che si stenta a definire involontaria e non più la suspense, se all'immaginazione macabra ha preferito sostituire un'estetica di plastica, da museo delle cere, sono francamente fatti suoi. Tant'è che chi scrive non vedrà mai più un nuovo film di Dario Argento, accontentandosi di riguardare il suo cinema di un tempo anche a costo di risultare un po' patetico.

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A questo proposito, va sottolineata la scientificità del declino argentiano: a fare da spartiacque tra i capolavori e le schifezze c'è guarda caso lo straordinario Phenomena (1984), la fine del sentiero che coincide con il suo inizio. Per l'Argento che fu, la rappresentazione dell'horror ha coinciso con la liberazione di tutti gli impulsi repressi (dalla morale, dalla cultura, dalla religione) e si è tradotta in forme visive anarchiche e potenti. Con Phenomena si conclude questo percorso di liberazione e di presa di distanza dall'horror di stampo anglosassone – così pesantemente influenzato dal puritanesimo – tornando alle origini, alla fiaba. Dopo di che, Argento si è esaurito. Non ha più avuto argomenti e ispirazioni per rapportarsi con il mondo, neppure se filtrato attraverso l'incubo personale. Si è richiuso in se stesso, in una sorta di onanismo creativo i cui risultati, con Il cartaio quale triste epilogo, dimostrano quanto il suo fare cinema sia da oltre quindici anni una pratica autoreferenziale e profondamente sterile. Non gli interessa rapportarsi con noi e con il mondo, quindi per non fargli un torto anche noi d'ora in poi guarderemo altrove. Fine di un amore. E senza rimpianti.

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