SPECIALE "IL GRANDE GATSBY": "Tendere le braccia più avanti, e un bel giorno…"

Il grande Gatsby
Baz Luhrmann ha eluso il confronto diretto con Francis Scott Fitzgerald e non ha commesso l'errore di Francis Ford Coppola. La prosa dello scrittore non può essere tradotta sullo schermo ma può essere inglobata e usata come un'arma che lavora insieme alle scenografie sgargianti e ai vorticosi movimenti di macchina. Il grande Gatsby non vuole onorare il romanzo ma il suo protagonista

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The Great Gatsby di Baz Luhrmann non poteva sottrarsi al paragone con il romanzo di Francis Scott Fitzgerald. Il referente non è solo uno dei capolavori più celebrati della letteratura americana ma è anche uno di quei libri che restano nella vita e nella memoria di chi li ha letti. Il suo progetto si è preso il rischio di adattare un testo insidioso che il cinema non era mai riuscito a tradurre in modo compiuto. L'accusa più diffusa sulla sua riduzione riguarda la colonna sonora: il regista australiano ama usare la musica fuori contesto e questa sua preferenza non si è fermata nemmeno davanti ad un romanzo che è stato sempre considerato il simbolo dell'era del jazz. Il film contamina questa influenza identitaria con la prepotenza dell'hip pop e l'audace accostamento potrebbe non essere stato gradito dai puristi. Baz Luhrmann tende all'eccesso anche nel ritratto della vita dell'aristocrazia americana dell'epoca. Francis Scott Fitzgerald era il mattatore delle feste dei ruggenti anni venti ma la fantasia del regista lo scavalca: il massimo del peccato che la sua prosa aulica si concedeva era l'adulterio e gli affari loschi del protagonista venivano relegati nell'ombra del lato nascosto della sua personalità. Il film allarga le prospettive fino alla promiscuità e dedica gran parte delle sue risorse spettacolari alla messa in scena dei più grandi party che New York abbia mai ricordato: la città non è solo la promessa di tutte l

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e bellezze e di tutto il mistero del mondo ma è anche un posto proibito in cui la corruzione ha contaminato tutte le sfere della vita sociale. Baz Luhrmann ritorna sul terreno di Moulin Rouge! e i due film condividono  consapevolmente l'ambientazione in un periodo storico condizionato dall'edonismo e dalla fiducia nel futuro. Questa non è la strada per comprendere il suo orientamento rispetto a Francis Scott Fitzgerald: le differenze significative sono più sottili dell'esteriorità. La sua sceneggiatura ha appreso una lezione: non si può rivaleggiare con uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi e il suo copione non cade nel fallimento del precedente trattamento/sfida di Francis Ford Coppola.

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L'emozione della pagina e dello stile aulico del romanzo non può essere pareggiata nemmeno dalla forza del cinema: qualsiasi tentativo in questo senso sarebbe ridondante e non reggerebbe il peso dell'accostamento. La risposta di Baz Luhrmann a questo ingombrante retaggio è diversa e tenta l'azzardo di eludere lo scontro diretto con la parola: il suo film ingloba il testo in tutta la sua evidenza. La prima innovazione rispetto al romanzo è la necessità di un narratore che evochi attraverso la scrittura il suo incontro con il protagonista. La centralità di Nick Carraway viene confermata ed esasperata: il suo compito di testimone può realizzarsi solo con il distacco e l'idealizzazione della narrativa. Il romanzo lavora insieme alle sgargianti scenografie e i vorticosi movimenti di macchina del regista. Baz Luhrmann usa il fascino non replicabile del libro per uno scopo che gli sta più a cuore: rendere nuovamente giustizia a Jay Gatsby e al suo sogno impossibile di annullare il passato e di piegarlo alla sua immaginazione. Il regista e il romanziere si uniscono all'eroe nel segno di una personale ed irraggiungibile luce verde. Australia aveva dimostrato un'insaziabile nostalgia verso un'età aurea del cinema e Baz Luhrmann non può fare altro che assecondarla a modo suo. Le lievi ma percettibili forzature nei confronti del romanzo stabiliscono un'empatia che è il suo vero legame di fedeltà verso Francis Scott Fitzgerald. Il rigore del punto di vista di Nick Carraway concede almeno un breve interludio perchè Jay Gatsby ha il diritto di godere il suo mondo perfetto e fasullo che si è completato con la presenza di Daisy: la macchina da presa si focalizza sulla sua soddisfazione e sul suo appagamento temporaneo. Il finale non può risparmiagli la morte ma non gli toglie l'illusione di aver vinto e di aver ricevuto la telefonata che aspettava: l'omissione gli permette di salvare il set che aveva costruito in funzione del suo amore per Daisy. L'imperfezione de Il grande Gatsby è necessaria come l'eccesso d'ira che rovina il suo progetto e lo allontana dalla sua realizzazione: il cinema di Baz Luhrmann deve essere incompleto nella sua smisurata e avida grandezza: la sua voracità postmoderna è quella di un triste magnate che compra tutti gli oggetti del mondo e li mette insieme senza un ordine per un altro scopo da raggiungere. Tendere le braccia più avanti, e un bel giorno

 

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    Un commento

    • Eccezionale recensione tanto come lo è stato il film, che consiglio vivamente di vedere e visto che ancora non l'ho fatto, leggerò certamente anche il libro