SPECIALE "LA PASSIONE DI CRISTO" – L'eccesso figurativo

Malgrado i costanti eccessi figurativi e un approccio intellettualistico comunque discutibile, il film non manca di fondamento teorico nella rappresentazione del dolore o della violenza, ma sciupa la fisicità della messinscena in un calderone di immagini patinate quanto un videoclip di MTV

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Il paradossale annullamento di qualsiasi logica del perdono connessa al sacrificio sulla croce rappresenta forse l'unica novità sostanziale nella "Passione" secondo Mel Gibson, dove i programmatici anacronismi dottrinali erodono consapevolmente il senso della liturgia cristiana, mentre il manicheismo dell'interpretazione evangelica smentisce con forza l'approccio manierato di Zeffirelli. Se la cornice storica risulta giustamente spogliata della propria autenticità per potersi universalizzare, i sospetti circa il presunto antisemitismo dell'opera cadono piuttosto sotto un assunto teologico dai connotati medievali, che punisce i peccatori attraverso l'intervento diretto di satana e divide le anime reiette da quelle pie. Appare emblematico per esempio l'episodio del suicidio di Giuda, riverso nelle sacre scritture in un rimorso tutto umano e qui banalizzato dal ricorso ad allucinazioni quanto mai "telefonate"; al "cattivo ladrone" spetta invece un'aquila mandata dal diavolo per cavargli gli occhi, così impara a diffidare del Signore!

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Malgrado i costanti eccessi figurativi e un approccio intellettualistico comunque discutibile, il film non manca di fondamento teorico nella rappresentazione del dolore o della violenza, ma sciupa la fisicità della messinscena in un calderone di immagini patinate quanto un videoclip di MTV. Strano a dirsi per una pellicola votata alla riaffermazione della corporeità come trionfo dell'immolazione divina, del patimento quale testimonianza tragica e inevitabile della vittoria.

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