SPECIALE PASOLINI – La Fine non esiste

Ferrara trova l’unico modo per essere follemente (in)fedele a un pensiero così ontologicamente contemporaneo come quello di Pasolini, cucendo i riflessi vivi di un pioniere della sperimentazione linguistica (giornalismo, letteratura, cinema, poesia), riarticolando questo materiale in un montaggio dialettico personalissimo e sancendo pasoliniamente oltre Pasolini che “la fine non esiste”

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"Siamo tutti in pericolo". Iniziamo dalla famosa ultima intervista che Pier Paolo Pasolini concesse a Furio Colombo poco prima della sua tragica morte. Intervista riportata fedelmente nel Pasolini di Abel Ferrara, almeno sino alla domanda fatidica del giornalista su “cosa ti resta?”. Insomma: se abolisci quest’ordine costituito, tutto il sistema educativo che parte dalla scuola, a te poeta e regista “cosa resta?”. La risposta di Pasolini fu netta: “a me resta tutto, cioè me stesso, essere vivo, essere al mondo, vedere, lavorare, capire. Ci sono cento modi di raccontare le storie, di ascoltare le lingue, di riprodurre i dialetti, di fare il teatro dei burattini”. DafoePasolini, invece, pur rimanendo fedele alla filosofia che animava quella risposta, ne devia improvvisamente il fuoco: “a me restano i film, girare, farei film anche se fossi l’ultimo uomo sulla terra. O faccio film o mi suicido”. Eccola, allora, l’abissale dissolvenza incrociata FerraraPasolini. Eccolo il momento decisivo (come acutamente osserva Aldo Spiniello), ed ecco da dove partire per comprendere un film che pur nel caos selvaggio delle traiettorie rimane fedelissimo alla lucidità del pensiero pasoliniano.
 

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"La ricerca è in corso, il libro è aperto" – P.P.P.

Pasolini è straniero nel suo Paese. Dalla prima inquadratura è già solo (con) il suo sguardo: si inizia in sala di montaggio dove il regista vuole letteralmente toccare quelle immagini, la sua mano è protesa sullo schermo, Willem Dafoe pronuncia parole incomprensibili. Salò, da ogni punto di vista, è il film della Fine. Delle utopie (oltre ogni empirismo eretico) e della storia (un buco-nero come il petrolio). Una fine a cui Ferrara si ribella con Rabbia, configurando la resurrezione laica dell’utopia-cinema (la Stella cometa) e del pensiero-corpo (Pier Paolo Pasolini) che ha sempre ispirato le sue inquadrature (da The Driller Killer in poi) perché la “fine non esiste” ricorda il servetto Nunzio al disilluso padroncino Epifanio. Come tentare un’impresa simile? Forse configurando il ricordo-immagine di un uomo attraverso le opere che avrebbe voluto creare se ne avesse avuto il tempo. Ponendosi esteticamente e politicamente dopo la fine e filmando i fugaci echi di morte di Petrolio o gli ultimi aneliti di speranza di Porno-Teo-Kolossal, perché il cinema fa già parte della vita come ci ricorda Amir Naderi in quell'altra abissale lucciola nel buio che è Mise en scène with Arthur Penn

"Solo l'amare, solo il conoscere conta, non l'aver amato, non l'aver conosciuto. Dà angoscia il vivere di un consumato amore. L'anima non cresce più."  – P.P.P.

Ferrara, del resto, non fa che sopravvivere alle sue ossessioni (Go Go Tales: girare, girare, girare, è l’unico scopo!), alla Fine del Mondo (la resurrezione nell’arte di 4:44 – Last Days on Earth), ai dannati del dopo-Storia (“nessuno vuole essere salvato” in Welcome To New York), per ricominciare qui dalla scintilla di Pasolini e dalle proprie intime utopie. Ferrara guarda Pasolini come un Cristo laico che ha gettato semi inestirpabili – l’unico film citato apertamente, non a caso, è Il Vangelo secondo Matteo –, filmando una brutale morte fisica che non riesce minimamente a oscurare la vita dell’immag(inazion)e e del pensiero. E non solo di quello pasolinano (sarebbe troppo riduttivo), ma anche del proprio (di Abel Ferarra) e soprattutto del lettore/spettatore X a cui Pier Paolo era totalmente devoto. Oltre quella "scolarizzazione filmica” che sta oggi livellando e anestetizzando ogni sguardo (anche critico…), si staglia umilmente questo film: la vita del pensiero è quella dello spettatore più ingenuo e vergine del mondo (Nunzio/Abel/Scamarcio guarda la Terra ancora incuriosito), che raccogliendo i preziosi scarti di esperienza altrui riesca ancora a riflettere-emozionarsi autonomamente. Ferrara, davvero, trova l’unico modo per essere follemente (in)fedele a un pensiero così ontologicamente contemporaneo come quello di Pasolini – la Roma della Sodoma ferrariana, del resto, è ambientata proprio in quella attuale – cucendo i riflessi vivi di un pioniere della sperimentazione linguistica sui media (giornalismo, letteratura, cinema, poesia, ”io sono semplicemente uno scrittore”), riarticolando questo materiale in un montaggio dialettico personalissimo e sancendo pasoliniamente oltre Pasolini che “la fine non esiste, aspettiamo, qualcosa succederà”. Il futuro, allora, è in quel dettaglio finale. Un libretto aperto su appunti sparsi, frasi abbozzate, poesie ancora da scrivere, immagini ancora da creare…come questo immenso e struggente atto d’amore che riconsegna solo a noi il sublime piacere di una (non) fine.

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