SPECIALE THE CONJURING 2 – Sguardi d’addio

Un film straripante, ricchissimo, stratificato, che rimanda alle illusioni delle origini del cinema e a Tim Burton, ad alfred Hitchcock e Jack Clayton, E l’horror (forse) è solo un pretesto

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A James Wan servono due film. Come in Insidious. Oppure deve entrare in una saga già preesistente come il bellissimo Fast & Furious 7. Non è che senza sequel il suo cinema non sia autonomo. anzi, The Conjuring ha una classicità esemplare nella declinazione moderna di visioni all’interno dell’horror. Ma è poi nel secondo che si sprigiona lo spirito più libero, lo sguado più incontrollabile del cineasta.

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Diciamo che The Conjuring e The Conjuring 2 stanno a James Wan come Batman e Batman. Il ritorno a Tim Burton. Dove il sequel diventa necessario, anzi il vero film con l’impronta. E Wan rimbalza col regista di Edward mani di forbice anche nella nostalgia in cui riprendono vita gli anni ’70 (il 1972 nel bellissimo Dark Shadows, il 1977 in The Conjuring 2), quasi album di una memoria che si materializza attraverso derive musical come nel momento in cui cantano tutti insieme Elvis Presley con Can’t Help Falling In Love, sensorialmente trascinante come i titoli di testa, dopo il prologo, di Dark Shadows sulle note di Nights in White Satin dei Moody Blues.

Lauren Esposito, Madison Wolfe The Conjuring 2C’è ancora Burton nell’ullusione di effetti in cui si rimanda alle origini del cinema. L’effetto ottico con il movimento circolare dell’uomo con l’ombrello diventa l’ulteriore esempio di un cinema totalmente ipnotico, capace di dare il continuo senso del pericolo di tutto un set che si può muovere, allargarsi e restringersi, avanzare e indietreggiare. Con oggetti che possono partire e animarsi, come il quadro con la suora che si muove o i coltelli sul tavolo della cucina. E la stessa oscillazione potrebbe avvenire anche con il poster di Starsky & Hutch. Per questo, finalmente nell’horror, tornano ad essere estremamente efficaci le poltrone e i letti che si muovono, le porte che si aprono o le coperte che volano.

the conjuring il caso enfeldIn The Conjuring 2 l’immagine sembra essere in un persistente stato di magnifica instabilità. Come se potessere scomparire del tutto inghiottita dal maligno o contaminarsi con i reperti video della tv o di Casa Hodgson. Tra i demoni entrano in campo anche squardi hiitchcockiani con il volto di Vera Farmiga all’inizio che potrebbe idealmente sovrapporsi a quello di Kim Novak in Vertigo. O le atmosfere del cinema di Jack Clayton con le inquietanti premonizioni di Suspense o Tutte le sere alle 9.

Ogni immagine sembra un addio. Come se quell’inquadratura, pur densissima, non dovesse ritornare più. Non solo in The Conjuring 2 ma in tutto il cinema di James Wan. Potrebbe tornare simile, ma sembra con quelle piccole, anche impercettibili variazioni, che la rendono invece profondamente diversa. Ma le immagini gli ultimi sguardi, come quello di Janet, la ragazzina ‘posseduta’, quando i Warren vanno via, portano The Conjuring 2 nelle zone di un fiammante mélo. Perché forse a questo punto a James Wan dell’horror gliene importa relativamente. Gli serve soprattutto come scheletro. Per un film d’epoca familiare. The Conjuring 2 è così stratificato che è di una ricchezza impressionante. Dove diventa straripante anche il sentimento di nostalgia. Degli anni ’70. E in questi giorni, forse anche della stessa Gran Bretagna.

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