SPECIALE TODD PHILLIPS – Saltare nel buio
Nell’ottica di una poetica votata al black out, il personaggio Joker/Fleck non è che la deflagrazione identitaria di una maschera tragicomica perennemente in fuga da una realtà insostenibile

“Ho avuto un blackout” afferma scosso Frank “La Tanica” dopo aver brillantemente sostenuto la prova di dibattito nelle battute finali di Old school. “Ho fatto un sogno stranissimo” racconta invece Peter Highman una manciata di inquadrature prima di intraprendere il suo folle viaggio in compagnia di Ethan Tremblay. “Alcune ben oltre la realtà” dichiara infine Alan Garner descrivendo divertito le foto dell’addio al celibato dell’amico Doug – mentre lui e i suoi compagni si apprestano finalmente a rievocare le impronosticabili peripezie di quella notte. Quindi stacco, Right round e titoli di coda. Ma non è che il principio, lo starter-pack, la base meme. Un paio d’anni dopo un uomo di nome Phil Wenneck pronuncerà una delle frasi-manifesto di un’intera filmografia: “è successo di nuovo…”. E continuerà a succedere. Perché al di là di generi, intrecci e variazioni sul tema, buona parte del cinema di Todd Phillips è tutto qui. Racchiuso in una serie di interminabili e intercambiabili salti nel buio.
È un cinema in bilico quello del regista statunitense, sempre sull’orlo del precipizio. Abile a disperdere le proprie tracce in quella caotica miscela di sogni, realtà e incubi deliranti e a lasciarci intuire, a più riprese, la centralità teorica, seppur tangibile, di un “oltre”. Suggerito nella suggestione di un flash ai limiti della catarsi come nel caso del blackout di WIll Ferrell; o chiamato piuttosto, alla stregua delle traiettorie on the road di Parto col folle, a una sua più ambigua sovrapposizione al “reale”. In ogni caso fedele, se non addirittura devoto, ai principi cardine di quel modello produttivo che, a partire dalla fine degli anni ’90, ha condotto alla prolungata e reiterata contaminazione artistico-corporea di quel gruppo di interpreti ora riconosciuto con il nomignolo di Frat Pack – o quantomeno della sua più propriamente phillipsiana manifestazione, concretizzatasi nel quartetto protagonista di Una notte da leoni.
E arriviamo ad oggi, all’ultima tessera del puzzle, al nuovo pagliaccio. Arriviamo alla domanda che rimbalza ormai da giorni, se non da anni, in giro per il web. Chi è Arthur Fleck? Chi è e che cos’è il Joker di Phoenix? È una vera mina vagante nel generale marasma di maschere comico-demenziali modellato dall’autore da Road Trip in avanti? O forse invece una sua naturale evoluzione – o, sarebbe meglio dire, deflagrazione identitaria?
Del resto, già nell’ottobre del 2019, in occasione dell’uscita del primo capitolo di questo presunto cine-comic atipico, Simone Emiliani raccontava della risata del nuovo Joker come di “un residuo dell’allegra follia della trilogia di Una notte da leoni e delle tracce demenziali del suo primo lungometraggio”. E non è difficile da immaginare, risalendo dunque la corrente, che nel Barry Manilow di Tom Green – costantemente in bilico tra follia e inquietudine – e più in generale in un cinema che si dichiarava apertamente pronto a “guidare le future generazioni dentro il nuovo millennio”, si potessero dopotutto già rintracciare i prodromi di un’immagine pregna fin da principio di una forte vocazione sociologica – di cui il personaggio di Arthur Fleck e il suo irriverente colpo di pistola in diretta tv avrebbero poi offerto una rappresentazione semplicemente più sboccata.
Che radici ha dunque questo rifiuto? Questa pretesa di discontinuità? Perché chiudere gli occhi di fronte alla coerenza semantica di un personaggio che è insieme punto d’arrivo e di partenza di un discorso unico e unitario? Risulta forse scomodo – o perché no, addirittura fastidioso – riscoprire i germogli del tanto acclamato e pluripremiato primo capitolo nell’umanità misera e demenziale del pre-Gotham, che già molto diceva dell’America di quegli anni e del disorientamento endemico di un’intera generazione abbandonata a se stessa?
E ora che faremo? Ora che il “legal-musical” ha soppiantato tutto, seminando malcontento e scavando la fossa narrativa e finanziaria del franchise? Che faremo della gradevolezza tecnica, della maggiore seriosità tematica e del più nobile citazionismo in cui si era tentato di individuare il punto di svolta di una carriera fino a quel momento quasi esclusivamente votata all’intrattenimento satirico e, appunto, demenziale?
Rimarremo forse a bearci delle ceneri, dell’apocalisse di un esperimento malandato. Chissà, magari osserveremo distaccati la nave colare a picco, andare a fondo insieme al suo ostinatissimo capitano – trafitto in questi giorni anche dalla notizia dell’anticipata distribuzione streaming del film, causa bocciatura della sala.
O forse riusciremo invece a rimettere a fuoco, a riconsiderare, a ricalibrare giudizi fin troppo affrettati. A rileggere Joker nell’ottica di un ribaltamento del meccanismo della risata, all’interno del quale è il pubblico a essere privato della possibilità di intrattenersi. Riusciremo forse a reinquadrare un processo di sistematica distruzione delle icone, che a partire dall’innalzamento e contemporanea messa in ridicolo della New Holywood (al ritmo di cadute in piscina e Grand Canyon) e passando per la mutilazione dell’allora novello Iron man (maltrattato da un Galifianakis all’occorrenza orso o Padrino alterato dalla cannabis), è giunta infine alla demolizione della maschera Joker – riletta nella solitudine di Fleck, l’idiota senza pubblico, incompreso dalla massa.
E inevitabilmente torneremo ancora lì, agli squarci di The Hangover, a un cinema costruito sui postumi di fantasiose sbornie e privilegiati portali d’accesso – si tratti di macchine fotografiche, proiezioni mentali, musical o momentanei blackout. Per riscoprire Joker nei termini dell’ennesimo cazzone phillipsiano, che nelle esperienze extracorporee di questi “oltre”, di questi salti nel buio, ritrova la strada per una possibile liberazione dalle inibizioni di una società che è innanzitutto giogo. Di fronte alla quale ubriacarsi di un’altra versione di sé rappresenta l’unica chance di evadere da una realtà insostenibile.
Un Joker/Fleck che forse, già cinque anni fa, profetizzava sardonico lo sgretolarsi della propria fanbase…
Is something funny?
I just thought of a funny joke!
Do you mind telling it?
You wouldn’t get it.