Spectre – 007, di Sam Mendes

Se Skyfall era il pezzo d’autore fuori serie, questo nuovo 007 di Mendes ragiona di come farne una linea di produzione industriale: in questo, è forse un gesto ancora più fondamentale del precedente

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Ci sono due presenze all’interno del nuovo Bond/Mendes che si rivelano utilissime per mappare gli orizzonti dell’universo rinnovato del nostro agente segreto, che da quattro film a questa parte è costantemente impegnato a calare le peculiarità della propria icona in una complessità più stratificata, contemporanea, interconnessa e rivolta a spettatori nuovi, meno ingenui e resi decisamente più smaliziati dalle macchine narrative multistrutturate della nostra generazione.
Skyfall raggiungeva addirittura il risultato di astrarre totalmente la formula-Bond per farne un panel autoriale e arty che reinventava con meccanismi cari davvero a certe avanguardie tutti gli elementi del simulacro configurandoli in maniera inedita, e rovesciata.
daniel craig in spectre 007Spectre continua a ragionare per orizzonti svuotati di senso come l’isola disabitata di Silva, i neon di Shangai o l’oscurità in fondo al lago ghiacciato, e trasformati in androni di una megagalleria multimediale a tema 007, qui Città del Messico, l’agguato tra i vagoni del treno, il quartier generale futuristico dell’antagonista nel deserto, il percorso personalizzato a ostacoli del finale. In questo sembra far giungere a pieno compimento e in maniera decisamente esplicita la tormentata riscrittura della figura bondiana lasciata in eredità da Paul Haggis a John Logan (col duo Purvis/Wade a garantire la continuity).
Soprattutto nella prima parte, dopo un’apertura fenomenale e la clamorosa sezione romana, Mendes e Hoyte Van Hoytema inanellano anche solide sequenze spettacolari che potrebbero stilisticamente ricordare quelle di Marc Forster per Quantum of Solace, narrativamente e concettualmente l’episodio-Craig più vicino e assimilabile a questo.
Prima che la direzione dell’incubo tecnologico sul controllo e la tracciabilità satellitare onnisciente diventi il poco convinto espediente per imbastire questa loggia di cattivoni internazionali, versione 2.0 – ed è qui però che entra in ballo il discorso sui due straordinari intrusi che catturano la nostra intenzione forse addirittura più dello squisitissimo Blofeld costruito da Christoph Waltz.

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E’ probabile che i puristi dell’aplomb british del personaggio e delle sue avventure storceranno ora la bocca, ma l’ingresso nel film di un wrestler come Dave Bautista nel ruolo dello scagnozzo duro da uccidere di Blofeld sposta decisamente il peso della bilancia verso una forma di blockbuster più muscolare, in teoria meno “raffinato” di quanto lasci prevedere l’accorato brano di Sam Smith per gli opening credits: e allora, le ambizioni di questo Mabuse telematico contro cui si trova a lottare Bond stavolta non differiscono troppo dall’espediente dell’Occhio di dio che Toretto e il suo team – formato per l’appunto da wrestler, lottatori, stunt ecc – tentava di neutralizzare per tutto Furious 7. spectre-léa-seydoux
La geografia esplosa e ubiqua delle tappe in giro per il mondo delle missioni bondiane rinasce così nelle peripezie in viaggio per il pianeta di un prodotto “stupido” come il film di James Wan – o è il restyling dell’impalcatura degli 007 a tentare al contrario un avvicinamento, non solo formale, alle saghe fracassone dei box office contemporanei (come a dire che certi exploit dell’epoca-Brosnam tipo Il domani non muore mai o La morte può attendere – già un Purvis/Wade – fossero, rivisti oggi, forse meno ottusi di quanto si pensava…)?
In questo mappare la traiettoria del corpo di Bond rimane l’indicazione principale, come ci suggeriva già Casino Royale, e come fanno questi film costruiti su atleti: il gps gli viene stavolta addirittura iniettato nelle vene, e infatti tutto l’inghippo è una questione di legami di sangue.

christoph waltz in spectre 007Bene lo sa il personaggio di Léa Seydoux, altro raggio trasversale capace di illuminare l’intero disegno di Mendes e Logan: bond girl mozzafiato in grado di tenere testa a 007 sia nella preparazione alla lotta che caratterialmente, l’attrice è un punto d’incontro vertiginoso con un’ulteriore saga spionistica dell’oggi, ovvero quella di Mission: Impossible (che già Federico Chiacchiari collegava ad alcuni aspetti di Skyfall).
Prima di Spectre, Seydoux aveva già vissuto la vita perigliosa degli agenti segreti nel quarto, formidabile episodio delle avventure di Ethan Hunt, Protocollo Fantasma, che settava tra le altre cose le nuove coordinate della squadra dei protagonisti, ora costretta a muoversi in clandestinità fino a trovare, nel recente Rogue Nation, un nuovo battesimo istituzionale, perfetto per replicare le vicende della serie in maniera canonizzata e potenzialmente infinita, proprio come i Bond dell’era più classica.
Ecco, vedere in Spectre per la prima volta M, Q e Moneypenny agire attivamente come team di supporto sul campo di Bond non può che riportarci alla mente i Jeremy Renner, Simon Pegg, Alec Baldwin della saga rivale. Spectre funziona davvero così come meccanismo incredibile sullo stato del genere nella contemporaneità, il suo guardarsi costantemente indietro e avanti lo pone al centro preciso di tutti i fili tessuti dai dispositivi spettacolari del cinema d’azione a fecondazione artificiale dei nostri giorni.

Se Skyfall era il pezzo d’autore fuori serie, questo nuovo 007 di Mendes ragiona di come farne una linea di produzione industriale: in questo, è forse un gesto ancora più fondamentale del precedente.

Titolo originale: id.

Regia: Sam Mendes
Interpreti: Daniel Craig, Monica Bellucci, Christoph Waltz, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Ben Whishaw, Naomie Harris, Andrew Scott, Rory Kinnear, Dave Bautista
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 150′
Origine: Gran Bretagna, USA 2015

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