Spettri di Clint, di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri
In libreria per Baldini+Castoldi, un testo capace di indagare la figura umana e cinematografica di Clint Eastwood e il legame invisibile tra i suoi ispettori, solitari cowboy senza nome e spettri

“La capacità di sedurre dei personaggi di Eastwood scaturisce essenzialmente dal suo rapporto nei confronti della macchina da presa, che non l’ha mai intimorito, (anzi come attore/regista l’ha sfidata e continua a farlo, sapendo bene che alla fine la conquisterà), dal minimalismo dei suoi movimenti e del suo cinema, dal suo eloquio essenziale, dal suo modo scarno di recitare”.
In poche righe, Anna Camaiti Hostert nel suo saggio intitolato Il paria senza paura tra passato e futuro, delinea abilmente, tanto l’idea di cinema filmato, quanto quella di cinema interpretato proprie del marchio Eastwood, oltreché della sua storica casa di produzione la Malpaso Productions, offrendone una nuova prospettiva dalle moltissime sfaccettature. Si può partire da questo segmento finale per rintracciare una delle tante folgoranti tracce del denso ed incisivo viaggio cinefilo/letterario Spettri di Clint – L’America del mito nell’opera di Eastwood di Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri – in libreria per Baldini + Castoldi. La riflessione di Hostert presente all’interno del libro dei due critici sottolinea per la primissima volta o quasi, il complesso e sorprendente legame che intercorre tra Clint Eastwood e la macchina da presa.
Infatti, fin dai primissimi titoli di carriera, l’autore di Mystic River e Gran Torino si ritrova, sempre rispetto alla macchina da presa che onnipresente domina ogni set, eternamente in bilico tra sfida a duello – in parte causata da quell’estrema timidezza che Eastwood non ha mai nascosto d’avere, tanto ai suoi fan, quanto ai giornalisti e detrattori – e incontro pacificato e amorevole. Privo di dunque di impacci e timori e proprio per questa ragione inevitabilmente seducente.
Così come sono seducenti, talvolta loro malgrado, talvolta per scelta, molti dei personaggi interpretati da Eastwood pre e post Ispettore Callaghan. Da qui, forse rintracciandovi la chiave di lettura più segnante, Hostert indugia sui binari paralleli dell’uomo e autore Eastwood, painfully shy (dolorosamente timido) e good looking (di bell’aspetto), circoscrivendo un marchio cinematografico ed un volto che molto rapidamente diviene storia del cinema. Due simboli, quindi, di un’intera produzione che su di essi non si è mai soffermata, più interessata a sottolineare inconsciamente i miti western e la drammatica crepuscolarità.
Hostert fa centro, proseguendo il reale significato del volume che Ciotta e Silvestri curano, ossia la definizione dell’uomo, tra timidezza ed intimismo, attraverso il cinema che Eastwood ha fatto. Quello stesso cinema che se in un primo luogo gli è appartenuto, poiché pensato ma non ancora animato, è presto finito nelle mani e dinanzi agli occhi degli spettatori non appena filmato, dando il là a tutta una serie di questioni, controversie, polemiche e riflessioni destinate a non finire più.
Strutturato in dieci capitoli, Spettri di Clint – L’America del mito nell’opera di Eastwood, sceglie piuttosto abilmente di prendersi tutto il tempo necessario per analizzare l’uomo, la filosofia e così il mito a quest’ultimo legati. Il racconto delle origini è affiancato a quello dell’evoluzione cinematografica hollywoodiana del genere western “che si dava in quel momento per moribondo” e che Eastwood muta radicalmente interessandosi a nuovi linguaggi e direzioni “mi piacciono gli eroi di oggi, con le loro debolezze e la loro mancanza di dirittura morale, e con un tocco di cinismo”.
Ciotta e Silvestri poi categorizzando ciascun titolo di Eastwood, danno vita ad una lunga serie di contenitori tematico/narrativi, passando per “L’età dell’innocenza” che include titoli come Un mondo perfetto, Changeling e Hereafter, “Honeymoon”, nel quale piuttosto sorprendentemente si analizza il carattere femminista, seppur anomalo della cinematografia di Eastwood, attraverso l’analisi dei protagonisti e così degli accadimenti di Brivido nella notte e I ponti di Madison County, che secondo Ciotta e Silvestri da potenziale adattamento zuccheroso di un bestseller con molto poco da raccontare, diviene attraverso lo sguardo e il corpo di Eastwood “un film malinconico e ghiacciato, immerso in una luce fredda. Un film su due morti che si parlano dall’oltretomba, riflessione dunque sull’esistenza, sull’esserci nel mondo, e sulla perdita del mondo“. Fino alla doverosa esplorazione del periodo postmoderno di Eastwood e così di quello musicale, meno amato dagli appassionati del western, eppure ancora una volta estremamente funzionale rispetto alla sua bizzarra capacità di legare tra loro individui come Charlie “Bird” Parker e Harry Callaghan, che per quanto distanti, potrebbero addirittura risultare fratelli.
Conclusione effettiva del volume è “Play Parker for me“, intervista dal carattere intenso, personale e politico che Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri fanno ad Eastwood in occasione della premiere di Bird, che i due critici definiscono come “un film che nessuna major di Hollywood avrebbe mai prodotto“. Sulla sfiducia, la libertà ed il rapporto del regista con la stampa e i mass media. Seppur nient’affatto verbosa, l’intervista dei due critici consegna immediatamente al lettore ciò che Eastwood è stato e tutt’ora è, tanto rispetto alla storia del cinema, quanto a quella degli Stati Uniti, che quest’ultimo si augura “possano tornare a votare presto nell’interesse del mondo“. Un uomo schiavo, di poche parole, eppure generosissimo.
Infatti, molto si è detto e scritto del suo cinema come attore e autore. Eastwood al pari di importanti nomi dello scenario hollywoodiano, come Robert De Niro e Arnold Schwarzenegger, ha sempre mantenuto una sorprendente trasparenza, talvolta scomoda. Basti pensare all’impegno politico, perseguito in maniera tale da condurlo ben presto a definizioni quali fascista, razzista, violento, reazionario, anarchico e non solo. Al di là del loro carattere forzatamente cupo e negativo, è doveroso considerare quanto queste definizioni non abbiano fatto altro se non accrescere un maggior interesse e peso rispetto all’uomo, personaggio e autore Clint Eastwood, legandolo indissolubilmente ai ruoli interpretati e rendendolo perciò ancor più vero, ancor più coerente moralmente, così come eticamente ferreo.
Ecco dunque perché è davvero doveroso riflettere su Eastwood – e sui suoi personaggi – chiamandone in causa gli spettri come fanno Ciotta e Silvestri, oltreché i cowboy o quegli ultimissimi individui capaci di incarnare l’America dura e pura, semplicemente attraverso uno sguardo o l’uso di un linguaggio scarno e spietato. Poiché come direbbe la Elinor St. John di Babylon a Clint Eastwood: “tra cento anni, quando noi saremo morti da tempo, ogni volta che qualcuno monterà una tua pellicola in un proiettore, tu sarai di nuovo vivo. Ti rendi conto? Un giorno, tutte le persone dei film girati quest’anno saranno morte e un giorno quei film lasceranno i loro nascondigli e tutti i loro fantasmi ceneranno insieme e vivranno avventure, nella giungla o in guerra, insieme. Un bambino, nato tra cinquant’anni si imbatterà in una tua immagine su uno schermo e sentirà di conoscerti come un amico, anche se sei andato via prima che lui arrivasse. Ti è stato dato un dono, sii riconoscente. Vivrai in eterno insieme agli angeli e ai fantasmi”.
Ciotta e Silvestri indagano l’immortalità di Eastwood ed il risultato di questo saggio è una cavalcata storico/critica centrata sul racconto e l’analisi tanto della filmografia quanto della personalità che quest’ultima sprigiona, senza mai scordare i selvaggi, malinconici, spietati, amabili e stranieri che Eastwood ha portato e sempre porterà sui nostri schermi, svanendo all’orizzonte per poi ricomparire chissà dove.
Spettri di Clint. L’America del mito nell’opera di Eastwood
Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri
448 pagine, Baldini + Castoldi
Disponibile su Amazon in formato Kindle a 11,99€ e in formato cartaceo a 22,00€ QUI