Splitsville, di Michael Angelo Covino

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L’escalation parossistica è il meccanismo con cui Covino e il partner Kyle Marvin costruiscono una comicità in accordo con la tradizione demenziale USA. Con Dakota Johnson CANNES78. Cannes Première

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Michael Angelo Covino e Kyle Marvin erano stati un piccolo caso a Cannes nel 2019 con il loro esordio The Climb: ora ritornano con la stessa formula del precedente – entrambi recitano e scrivono, Covino dirige, e con una commedia dal tono naif come lo era già quella, anche se stavolta con il pedale decisamente più spinto sul nonsense e sui tocchi degni della grande tradizione del demenziale USA. L’oggetto della messa alla berlina sono le “coppie aperte” della concezione progressista contemporanea, soprattutto in alcuni ambienti “upper”: il personaggio interpretato da Covino, per dire, non fa altro che elencare i prezzi esorbitanti sborsati per gli arredi della sua villona vista lago – peccato però che quegli stessi interni verranno ben presto letteralmente fatti a pezzi dalla foga catastrofica della scazzottata “fordiana” tra i due protagonisti, una sequenza lunghissima di distruzione del perfetto design piccoloborghese americano (tavoli, tappeti, quadri) che rappresenta probabilmente la trovata più micidiale di tutto il film.
Il meccanismo dell’escalation parossistica è quello con cui Covino e Marvin costruiscono infatti la loro comicità, dalla fuga a piedi rocambolesca con cui Carey si allontana dalla neo-moglie che ha appena iniziato a leggere la lettera che si è preparata per chiedere il divorzio, fino all’idea esilarante per cui i numerosi amanti della relazione poliamorosa dei protagonisti rimangano tutti a vivere nella loro casa, che si fa via via sempre più affollata di chirurgici rappresentanti delle abitudini di una certa classe media americana, la maestra di yoga, il musicista fricchettone, il “mentalista”…

Diventa sempre più chiaro come il bersaglio reale dietro i film della coppia sia l’incapacità di affacciarsi alla vita adulta, chiamiamola “responsabile”, da parte di questa generazione di ragazzoni (la stessa raccontata dai Farrelly, da Apatow…) perennemente bloccati sul piano relazionale, sentimentale, concreto: e infatti mentre i grandi continuano ad azzuffarsi come teenager in tempesta ormonale, i bambini del film sono tranquillamente in grado di leggere le situazioni in maniera ponderata.
E’ ancora possibile mantenere un confine della privacy in una società in cui ogni scelta personale diventa uno statement da fare alla comunità? Carey non riesce mai ad andare in bagno o farsi una doccia senza che qualcuno dei personaggi che ruotano intorno alla coppia non spunti da qualche angolo di casa: la scelta per la figura dell’ammaliatrice Julie di Dakota Johnson, che ruolo dopo ruolo va raccontando nel cinema di questi anni l’autodeterminazione della “nuova” femminilità consapevole, costituisce verosimilmente un ulteriore ammiccamento per gli autori.
L’interprete restituisce al suo personaggio tutto il fascino abbacinante e il magnetismo straordinario che le conosciamo, sembra puntualmente piombata da un’altra dimensione, attraversare questa piccola produzione indie come un’apparizione fugace, al di sopra delle stupide scaramucce per cui gli uomini si ostinano ad arrabattarsi, giorno dopo giorno.

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La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
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