Squali, di Alberto Rizzi

Si parte da Dostoevskij ma a emergere è soprattutto il lavoro di adattamento, l’entusiasmo con cui si prova a far palpitare immagini vecchie di secoli. Peccato che si perde un po’ alla distanza.

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Dopo la provincia meccanica degli anni ’90, quella selvaggia, di frontiera, tutta pancia, istinto, come in Delta. Lì c’erano gli spazi attraversati dal Po, a fare da sfondo alla vicenda di Squali ci sono invece i monti Lessini, ma la distanza tra i film è anche nei toni, nell’approccio, nei materiali. Squali prova a presentarsi come western, a cercare il genere tra le immagini ma di quei contesti gli interessa soprattutto l’affondo ancestrale. Lo impone, forse, la fonte, I Fratelli Karamazov, a cui il film è ispirato e di riprende soprattutto l’impostazione ed il grande tema della lotta parricida. A contendersi il destino del patriarca Leone Camaso, anziano e astuto montanaro con troppi segreti sono i suoi quattro figli, tutti nati da madri diverse, tutti, a loro modo spiantati e alle prese con i loro demoni. Al centro del confronto una straordinaria ricchezza che il vecchio, si dice, abbia fatto sparire dai loro eredi, oltreché un minerale di straordinario valore su cui Leone ha messo le mani proprio nei giorni in cui i quattro figli sono tornati da lui, quasi a voler chiudere i conti una volta per tutte.

Della fonte però a Rizzi (anche sceneggiatore), colpisce soprattutto il passo marziale, quasi claustrofobico, la gabbia che impone a chiunque voglia trasformarlo in qualcos’altro. Forse il film non inventa mai davvero nulla di nuovo ma colpisce comunque il suo approccio, che pare faccia fin da subito un passo indietro, non si allontani mai davvero dal primo piano ma sembri comunque più attratto dallo sfondo, quasi a voler portare a vivo il lavoro di adattamento puro, lavorando per cercare il calore, la vita, la violenza, che sono nel genere, nella fonte e che devono tornare a essere nel cinema, in modo esplosivo, prepotente, come lo strattone con cui Ivan, poco dopo l’inizio del film, quasi impone alla sorella Sveva di scusarsi con gli altri commensali.

Squali ha una grande prima parte, mai davvero aggressiva ma sotterraneamente violenta, di carne, sesso, sangue, fango, morte ma anche improvvise, calorose illuminazioni (la sequenza nel piccolissimo cinema di montagna che proietta I pugni in tasca, l’antro della “strega” nel bosco, il duello sulla religione) e in cui, forse soprattutto, il film non ribalta davvero il tavolo ma trova un coraggio tutto suo per prendersi il suo tempo, girare a vuoto o anche solo consegnare il peso del film in mano all’ottimo Mirko Artuso/Leone.

Squali smarca molte delle rigidità tipiche del processo d’adattamento ma forse non riesce a risolvere il problema di questa spinta creativa che può arrivare fino ad un certo punto se non nutrita nel modo giusto. E così la sensazione è che Rizzi si giochi tutti troppo in fretta e arrivi col fiato corto quando c’è ancora troppo da raccontare. Il problema non è tanto nel ritmo quanto nel passo, che dopo gli exploit della prima parte pare distendersi eccessivamente e perdere molta della tensione che l’ha accompagnato fino a quel momento. Squali non perde mai davvero tenuta in modo irreparabile ma man mano che il racconto si stringe sui figli, sul padre, sui loro fantasmi lo fa in modo sempre più cauto e controllato, agli antipodi rispetto all’esplosività degli inizi, rallentando i giri nei momenti della vicenda dove è meno conveniente rallentare, alle porte della resa dei conti, dell’esplosione di violenza. Che alla fine arriva ma lo fa in modo paradossale, senza sangue, senza grida, apice senz’altro suggestivo di un racconto che però è sempre un po’ meno a fuoco, un po’ più distratto rispetto alle grandi premesse di partenza, sempre più legato (altro paradosso), ad uno script da seguire piuttosto che da reinventare, in cui anche le immagini continuano a sopravvivere ma sempre più leggere, ripiegate in un intellettualismo che pare la strada che fa meno bene al film.

 

Regia: Alberto Rizzi
Interpreti: Mirko Artuso, Stefano Scherini, Diego Facciotti, Maria Canal, Gregorio Righetti, Sara Putignano, Chiara Mascalzoni, Alessandro Apostoli
Distribuzione: Magenta Film
Durata: 106′
Origine: Italia, 2024

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
Sending
Il voto dei lettori
2 (2 voti)
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