Star Wars: L’ascesa di Skywalker, di J. J. Abrams

The Rise of Skywalker è meno coraggioso di The Last Jedi ma dimostra di avere più affetto. Abrams scrive il gran finale della saga più popolare di tutta la storia del cinema e si affida al cuore

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Nel cuore di uno jedi risiede il suo vigore

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Rey riceve questo insegnamento da uno dei tanti personaggi redivivi che comunicano con lei attraverso le varie trilogie di Star Wars. All’inizio, la vediamo mentre si addestra sotto l’occhio vigile di Leia e cerca di evocare lo spirito e la Forza di tutti i cavalieri che l’hanno preceduta nei millenni. The Last Jedi aveva tentato di tagliare i legami con il passato nella speranza che la giovane e il suo antagonista Kylo Ren potessero camminare da soli. Lo sceneggiatore e regista Rian Johnson aveva pagato la hybris con il rifiuto generale e il boicottaggio del fandom lucasiano. The Rise of Skywalker chiama di nuovo J. J. Abrams a pacificare una saga che ha il passaggio generazionale come tema centrale.

Rey deve dimostrare di essere degna della spada laser di Luke Skywalker e Kylo Ren è disposto ad ogni brutalità pur di mostrarsi all’altezza della maschera del nonno. Tuttavia, il film rispolvera anche l’Imperatore Palpatine, impegnato nella ricerca di un erede a cui lasciare il suo ricostituito Ordine. I due aspiranti non possono sfuggire al confronto con le loro origini allo stesso modo in cui Star Wars non potrà mai ripartire da zero. Finalmente, The Rise of Skywalker chiarisce il mistero della discendenza della scavarottami in uno dei tanti attesi colpi di scena del film. Infatti, la lotta tra i lati opposti della Forza muove i personaggi in un turbine di rivelazioni, pentimenti, redenzioni e cambi di schieramento.

La fine della terza trilogia impone la questione inevitabile se fosse veramente necessaria o meno. Ha aggiunto qualcosa di significativo alle altre due e ha mostrato i suoi personaggi sotto un’altra luce? I nuovi eroi possono ambire a raggiungere lo stesso livello di immortalità nell’immaginario collettivo? Probabilmente, la risposta ad entrambe le domande è negativa e The Rise of Skywalker ne è perfettamente consapevole. Star Wars non può fare a meno del suo retaggio lucasiano e ormai questo è troppo vecchio e stanco per sopportare un’altro ciclo narrativo. J. J. Abrams si sforza di fare un film definitivo in un’epoca cinematografica in cui il racconto deve restare sempre un po’ aperto. Il cineasta accetta i rischi che gestire il finale della saga più popolare della cultura di massa comporta ma non rinuncia a qualche appoggio sicuro.

The Rise of Skywalker ha tutti gli elementi che lo spettatore si aspetta da un film di Star Wars e sa perfettamente come declinarli. Un compito semplice soltanto per chi non capisce quanto sia immenso e stratificato il volume delle regole che ci si deve portare dietro. Il prescelto ha bisogno di tutta la conoscenza dei jedi per affrontare la sua sfida con il lato oscuro. Il regista deve assimilare e assemblare i codici di tutto il cinema per uscire fuori dalle mille trappole del film. Così, quando Rey aspetta il caccia stellare di Kylo Ren nella pianura assolata di un pianeta desertico sembra di trovarsi in mezzo ad un western. Eppure, quando il velivolo inizia a puntarla e lei inizia a scappare ci si rende conto di essere in North by Northwest di Alfred Hitchcock.

Star Wars: The Rise of SkywalkerTuttavia, lo sguardo di Finn è ancora il grande tocco di contemporaneità che questa trilogia ha portato dentro l’epopea della galassia lontana lontana. Infatti, un altro personaggio umano come Poe cerca troppo di essere il surrogato di Han Solo per essere indipendente. Il disertore dell’Ordine è il vero personaggio nuovo e ha regalato un punto di vista insolito sugli eventi e ne ha rinnovato l’epica. I duelli tra Rey e Kylo Ren spesso sono osservati dalla sua prospettiva di amore non ricambiato verso la ragazza. L’assalto a terra allo Star Destroyer e la cavalcata dello StormTrooper rinnegato per sabotare la sua antenna di comunicazione sono il momento più originale del film. La solita battaglia tra i resti della flotta ribelle e l’imponenza di quella imperiale ha trovato finalmente un nuovo punto di osservazione.

Il lungo attacco finale rivendica la sua visione dal basso con un notevole twist ispirato a Dunkirk di Christopher Nolan. Nel frattempo, la legge del montaggio alternato sposta le sorti della guerra nel sancta sanctorum dei Sith. Il ritmo del racconto è l’unico comandamento lucasiano che nessuno ha mai avuto il coraggio di mettere in discussione. Al cospetto dell’Imperatore, i duellanti arrivano al punto di non ritorno e il climax arriva al momento giusto. Il potere uguale e contrario di Rey e di Kylo Ren e la loro capacità di interagire in luoghi differenti aveva già offerto una splendida sequenza a metà del film. L’annullamento della distanza fisica aveva permesso ad uno di portare lo scontro nel fuori campo dell’altro con vorticosi cambi di ambientazione.

The Rise of Skywalker riesce a lavare l’onta di The Last Jedi e ad imbastire un gran finale commovente e nostalgico. J. J. Abrams è sicuramente meno audace di Rian Johnson ma dimostra di avere più affetto. Alla fine, anche vedere Star Wars è diventata sempre di più una questione di cuore. Quello dello spettatore che si stringe quando ritrova un vecchio amico o un vecchio maestro sullo schermo. Oppure, quando il Millennium Falcon sfreccia via sulle note di John Williams dopo averla fatta franca un’altra volta.

 

 

Titolo originale: Star Wars: The Rise of Skywalker
Regia: J. J. Abrams
Interpreti: Daisy Ridley, Adam Driver, John Boyega, Oscar Isaac, Carrie Fisher, Billy Dee Williams, Domhnall Gleeson
Distribuzione: Walt Disney Italia
Durata: 141’
Origine: USA, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.02 (57 voti)
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