Stephen Lang, un Terminator su Pandora
Uno dei (tanti e possibili) comuni denominatori di Avatar e Nemico pubblico è lui: Stephen Lang, caratterista di razza solitamente relegato a ruoli di contorno, ma dalla solida carriera teatrale. Faccia da bastardo e fisicità unica e inconfondibile, talento innegabile ma finora sottovalutato: paradigma perfetto della componente di carne e sangue in un cinema sempre più proiettato verso il futuro
“Ti sei perso nel bosco?”
Colonnello Miles Quaritch
Distruggere una cosa bella. Creare un mondo, un universo, qualcosa in cui riconoscersi, un luogo dove sognare e vivere. E poi farlo a pezzi, ucciderlo. Che sia il volto/personaggio/uomo in fuga di John Dillinger o il magico mondo di Pandora, entrambi i sogni incontrano caos e morte per mano dello stesso corpo: Stephen Lang, l’imperturbabile poliziotto Charles Winstead di Nemico pubblico e lo spietato colonnello Miles Quaritch di Avatar. Finora, non abbiamo dubbi, il personaggio dell’anno è lui. Sicuramente, il volto più rappresentativo di questa stagione cinematografica ormai giunta a metà (insieme al sorprendente Christopher Waltz di Bastardi senza gloria): se la parola capolavoro ancora significa qualcosa, i film di Mann e Cameron rientrano a pieno diritto in questa categoria, e il fatto che Lang reciti in entrambi è l’occasione perfetta per dedicargli l’attenzione che merita. Newyorchese, classe 1952, faccia da bastardo che non si lascia dimenticare facilmente: in pochi lo ricordano, ma fu proprio Michael Mann a regalargli il primo ruolo importante nel magnifico Manhunter (1986), dove interpretava il reporter Freddy Lounds, sequestrato e barbaramente ucciso dallo spietato Dente di Fata. E sempre Mann, nello stesso anno, lo volle ancora nella serie televisiva Crime Story. Da allora, circa settanta apparizioni tra cinema e serie tv, parallelamente a una carriera teatrale ricca di premi e riconoscimenti: fino al 2009, l’anno della consacrazione al grande pubblico (lo abbiamo visto di recente anche ne L’uomo che fissa le capre) e quindi, speriamo, della riconoscibilità più immediata. Mann e Cameron, appunto. Due autori che hanno rivoluzionato il cinema americano dei meravigliosi e insieme terribili anni Ottanta, gli anni dell’action più puro (Strade violente), gli anni del cyberpunk e della rivoluzione dei corpi (Terminator, Aliens): due registi che hanno sempre posto estrema attenzione alla fisicità degli attori, anche nella scelta dei ruoli comprimari. Si pensi a Lance Henriksen, Michael Biehn, Bill Paxton per Cameron, e a Wes Studi, Danny Trejo e Barry Shabaka Henley per Mann. E ora, finalmente, Stephen Lang. L’uomo che uccise John Dillinger. Parafrasiamo John Ford non a caso, perché tanto Nemico pubblico quanto Avatar risultano talmente intrisi di quel cinema classico americano che non possiamo non pensare alla rivoluzione del digitale e del 3D come a un atto di rifondazione del cinema. E nel fare questo, Cameron e Mann non possono che (ri)partire dai corpi. Dagli occhi, dallo sguardo: dalla macchina da presa digitale di Nemico pubblico, così intenta a proiettare i corpi (la ripetizione del termine appare necessaria) dei suoi protagonisti lungo orizzonti sterminati, inarrivabili, e così insistente nell’incollarsi ad essi nel momento della morte, fino al set etereo e fisicamente assente di Avatar, dove solo – appunto – attraverso lo sguardo è possibile tornare a vivere. In mezzo a tutto questo Mann e Cameron giocano la loro scommessa puntando sempre e comunque sulla componente umana, della quale – in entrambi i casi – Stephen Lang si rivela fiero portabandiera. In Avatar il suo ruolo riassume in sé tutta la fisicità del cinema più sporco e vero degli anni che furono: un volto deturpato dalle cicatrici, una maschera di carne che osserva compiaciuta la distruzione di un paradiso perduto, prima di fondersi nella stessa armatura ipertecnologica che indossava Ripley/Sigourney Weaver in Aliens-Scontro finale. Il personaggio del colonnello Quaritch ribalta così l’immaginario dei personaggi del cinema di James Cameron: un Terminator tra gli umani, un villain contrapposto agli Avatar, cioè i cyborg, cioè – stavolta – i buoni. Ma anche un buono (un poliziotto) che, cinematograficamente parlando, ci ritroviamo ad odiare nel momento in cui colpisce a morte Johnny Depp/Dillinger in Nemico pubblico: sguardo di ghiaccio, ferreo esecutore della legge degli uomini che, quasi mai, coincide con quella del Mito. Non al cinema, perlomeno. Ma per fortuna Michael Mann decide di affidare proprio a lui la battuta più ironica del film: “Dillinger non andrà mai a vedere un film con Shirley Temple”… Un caratterista di razza, un talento finora sottovalutato (ma è anche co-direttore artistico dell’Actor’s Studio), una fisicità unica: un grande attore che riesce a fare proprio qualsiasi personaggio e al quale è sufficiente pronunciare appena quattro parole per scatenare la commozione più sfrenata ed entrare di diritto nell’immaginario collettivo: Bye bye, Black Bird.
Ottimo pezzo dedicato ad un volto poco conosciuto in Italia, ma nulla da invidiare ad altri nomi. Averceli attori come Lang qui da noi! Ma mi pare che siamo lontani, parecchio lontani.