“Stoker”, di Park Chan-Wook
Il cineasta coreano prende (al solito) a piene mani dal repertorio hitchcockiano, e compone una ricca calligrafia che solo apparentemente galleggia sul vuoto. Un'opera molto meno convenzionale di quelle girate in Corea. Un progetto che, più che rischioso, si vota da subito al fallimento: c'è poco da stupirsi se il pubblico, assai probabilmente, rimarrà freddo
Non fu uno dei meriti minori di Hitchcock, quello di dimostrare che a Hollywood, impero della convenzione, si potessero fare film meno convenzionali di quelli girati in patria (nel suo caso, in Inghilterra). Di tutta la fitta schiera di posthitchcockiani che si sono susseguiti negli ultimi decenni costeggiando (o in qualche caso sfondando) la barriera del cosiddetto “postmoderno”, l'unico a potersi permettere il lusso di bissare quel gesto del Maestro poteva essere solo Park Chan-Wook.
Stoker è infatti un'opera molto, molto meno convenzionale di quelle girate in Corea. Un progetto che, più che rischioso, si vota da subito al fallimento: c'è poco da stupirsi se il pubblico, assai probabilmente, rimarrà freddo.
Quel poco di narrativo che c'è (la neo-maggiorenne India Stoker alle prese con la morte del padre e con l'arrivo di un misterioso zio) è ampiamente mutuato da L'ombra del dubbio (solo uno dei numerosi riferimenti hitchcockiani) ed è talmente esile che di fatto lascia il film in un vuoto pneumatico riempito alla grande dall'usuale calligrafia di Park, qui davvero scatenato nel tratteggiare continue, manieriste fioriture grafiche che sembrano accumularsi con assoluta gratuità prima di ripiegarsi, col tempo, in simmetrie che hanno lo stesso peso irrevocabile del Destino.
Fumo negli occhi? Non solo. Non si tratta solo di saziare gli occhi e fregarsene della storia. La “carta da parati” di Park, così incline a ripiegarsi simmetricamente in due, a un certo punto rimpiazza e diventa la storia. Crescere, per India, non vuol dire affrontare una qualche minacciosa profondità (il sesso in Stoker è qualcosa da dribblare, e basta): significa scegliere tra due simmetrie: quella “biologica” con la madre o quella col luciferino zio, immagine allo specchio che le perviene galleggiando sul nulla. Significa passare dal giallo al rosso; colori che Park organizza in assillanti rime visuali. A uccidere, può bastare una matita. L'Azione, quella con la “a” maiuscola, può essere benissimo un mero slittamento della superficie. Non c'è nulla di meno innocuo di chi, come India (e a suo modo lo stesso Park), se in una lezione di disegno deve disegnare un fiore, lo trascura completamente per concentrarsi sui motivi simmetrici che decorano l'interno del vaso. Solo in apparenza, l'apparenza è solo apparenza.
Titolo originale: Id.
Regia: Park Chan-wook
Interpreti: Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode, Dermot Mulroney, Jacki Weaver, Lucas Till, Phyllis Sommerville, Ralph Brown
Origine: UK, USA, 2013
Distribuzione: 20th Century Fox
Durata: 99'