Stone Turtle, di Ming Jin Woo

Ad aprire il Concorso internazionale un film di violenza e vendetta che rilegge il mito per parlare dell’oggi con un ritmo in costante tensione.

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Una donna rientra a casa e il padre le spacca il cranio con una pietra, poiché colpevole di aver avuto un figlio fuori dal matrimonio. Dalla finestra, la sorella di lei e la figlioletta assistono atterrite all’omicidio e scappano. Inizia così la storia di Zahara e Nika, che vivono su un’isola quasi disabitata dell’Indonesia, commerciando uova di tartaruga. E dove un giorno arriva il misterioso Samad.

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A un primo sguardo Stone Turtle può sembrare una lineare storia di vendetta che rilegge il mito folkloristico per dare voce alle istanze sociali contemporanee. Ma ben presto entrano in gioco altri elementi, come la ciclicità propria delle filosofie orientali, che ne ridefiniscono i tratti, ne riscrivono le trame, rimescolano i personaggi, confondendone i ruoli di buono e cattivo. Il film salta d’improvviso dalla cruda realtà al lirismo della fiaba, con scene di atroce violenza legate al presente che si alternano a immagini animate quando a prendere il sopravvento è il racconto del mito, quella tartaruga di pietra che altro non è che l’ennesimo tranello narrativo di cui Stone Turtle è disseminato. Zahara indossa letteralmente le vesti del folklore, dando vita a una danza stregonesca e vendicativa che si ridefinisce continuamente, modificando le cause e gli effetti, le modalità e i soggetti, senza mai perdere di vista il proprio obiettivo, dar voce a quei fantasmi che sull’isola si sono perduti. A fare da sfondo gli incantevoli paesaggi malesi, tra spiagge che si estendono a perdita d’occhio, scenari di riti arcaici, sacrifici e malìe, e labirintiche grotte scavate dall’acqua che nascondono insidie e maledizioni.

Una storia di revenge, certo, ma anche di autodeterminazione, in cui Zahara si erge a paladina, s’immola, martire, per la causa femminile. È tuttavia chiaro che al regista interessi portare avanti un discorso sul genere più che di genere, che sfrutta il rape&revenge per mettere in scena la violenza gratuita, la crudeltà che sfiora il sadismo, la furia accecante della vendetta, mantenendo in costante tensione il ritmo del film, fulmineo nei suoi colpi di scena, nel suo rimandare continuamente la risoluzione, nel suo ripetersi incessante eppure ogni volta trasformato, riscritto nei suoi elementi minimi, che aprono ad altre possibili traiettorie, ma conducono tutte inesorabilmente ad un unico finale.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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