STORIA DI NOI DUE, di Rob Reiner

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Titolo originale: Story of Us
Regia: Rob Reiner
Sceneggiatura: Alan Zwebel, Jessie Nelson
Fotografia: Michael Chapman
Montaggio: Robert Leighton, Alan Edward Bell
Musica: Eric Clapton, Marc Shaiman
Scenografia: Lilly Kilvert
Costumi: Shay Cunliffe
Interpreti: Bruce Willis (Ben Jordan), Michelle Pfeiffer (Katie Jordan), Colleen Rennison (Erin), Jake Sandvig (Josh), Tim Matheson (Marty), Rob Reiner (Stan), Julie Hagerty (Liza), Rita Wilson (Rachel), Ken Lerner (dr. Rifkin), Victor Raider-Wexler (dr. Hopkins)
Produzione: Rob Reiner, Jessie Nelson, Alan Zweibel
Distribuzione: Warner Bros. Italia
Durata: 95'
Origine: Usa, 1999

C'è l'esigenza di raccontarsi in Storia di noi due. Il film di Reiner già cristallizza il proprio passato in una visione nostalgica poi drammaticamente terminale. Già nei quadretti da reportage in cui i protagonisti Ben e Katie sembrano narrare con distacco una storia già finita, c'è già dentro un logoramento visivo, un'inconsistenza del presente reso ancora più nebuloso dalla fotografia del grande Michael Chapman (Toro scatenato, Hardcore), che sembra annullare la momentanea temporaneità dei due protagonisti per avviare, materializzare, un ricordo che è già la loro storia. Mentre in Harry, ti presento Sally sempre quei quadretti-reportage servivano come una sorta di inchiesta oggettiva (erano prevalentemente gli altri che parlavano della storia d'amore tra Harry e Sally), in Storia di noi due sono proprio i due protagonisti che parlano di loro stessi. Ma in questa soggettività c'è un tragico distacco, un'indifferente senso di non-appartenenza proprio mentre Ben e Katie parlano tranquillamente di loro stessi evidenziato anche dalla monotona dolcezza con cui le note di Eric Clapton sembrano posarsi su di loro. Reiner rivolta con maestria la formula della commedia matrimoniale partendo da dove generalmente le opere appartenenti a questo filone terminano. Non è che non siano mancati ultimamente alcuni esempi del genere, primo fra tutti il tentativo non riuscito di Billy Crystal in Forget Paris. Ma Reiner – al contrario dell'operazione di Crystal che rivela, proprio mentre mostra il disfacimento affettivo, i segni della propria utopia – possiede un'enorme capacità nel rintracciare le cicatrici di una vita (come il morto di Stand By Me), nel riaprire/chiudere ferite con una sottile perfidia che porta addirittura i due corpi a scontrarsi in una guerra tra sessi che mescola la “realistica leggerezza” delle schermaglie tra Spencer Tracy e Katharine Hepburn con l'aperta cattiveria di La guerra dei Roses. Come l'inimitabile Due per la strada di Stanley Donen, anche Due per la strada non è un film che si vede ma si percepisce. C'è un senso di occultamento sensoriale che in molti momenti cancella davanti l'occhio dello spettatore il passato, così come ai figli della coppia viene nascosto il presente. L'opera sembra essere sempre “sull'orlo di un crisi di nervi”, quando a un certo punto scoppia, esplode, come in quell'emozionante pianto di un intenso Bruce Willis (altra star quest'anno con Pacino e Costner che si “denuda emotivamente” sotto l'occhio indifferente della macchina da presa) o in quella alternanza/flashback in cui un momento di estrema felicità si alterna a un'immagine di crisi sentimentale, tutto mostrato da Reiner come un flusso ininterrotto, così vitale, forse troppo vitale da gettarti dentro, da abbattere le forme di distacco. Perché il film di Reiner, imperfetto come imperfetti sono anche due grandi melò di questa stagione ( e Sai che c'è di nuovo?), ha forse la capacità di toccare a livello di pelle, di far sentire addosso più che mostrare una vita così intensa nella sua comunissima normalità.

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