Storia di una lingua. Il rap in gaelico dei Kneecap

Nell’epoca della new wave attoriale irlandese, c’è un trio a Belfast che rappa in gaelico, reclamando diritti per la propria lingua nativa e l’identità nazionale. Tra musica, cinema e politica

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Un paio di settimane fa la stampa internazionale ha rivelato il cast  di The Beatles: tetralogia firmata Sam Mendes, con quattro biopic – ognuno dedicato a un membro dei Fab Four – impregnati della cultura inglese seppur con un cast che travalica la territorialità. Perché la scuderia di interpreti vedrà due inglesi, Harris Dickinson e Joseph Quinn, affiancati da due portabandiera della new wave irlandese, come Paul Mescal e Barry Keoghan. Sono loro i nuovi grandi volti che fanno eco a quella frase di Cillian Murphy pronunciata un anno fa, una settimana prima di vincere l’oscar: “questo sembra un buon momento per essere un attore irlandese”.

E chissà se la pensano così anche dalle parti della nordirlandese Belfast; da sessant’anni terra di vinti e teatro di Troubles fra protestanti e cattolici: la contesa di un’identità ritratta da Kenneth Branagh nel suo fanciullesco e (auto)biografico Belfast, che racconta del senso di una casa, degli addii singhiozzati quando la propria terra diventa straniera.

Eppure, oggi, c’è chi a Belfast vuole restarci, e delle sue radici ne fa un manifesto culturale. Come il fenomenale trio dei Kneecap, gruppo rap composto dai vocalist Mo Chara e Móglaí Bap e da DJ Provaí, mascherato dal suo Balaclava tricolore – recentemente sfoggiato anche da Tom Hardy che rivendica un’Irlanda repubblicana e unita, senza il bisogno di un “Nord” tenuto sotto il controllo della Gran Bretagna.

Rappano in gaelico, quella vecchia lingua contadina ai tempi della Grande Carestia, quando l’epidemia rase al suolo il raccolto e i nativi migrarono verso lidi (e linguaggi) inglesi. Ma come in ogni civiltà, il trauma porta con sé il risveglio. O meglio, un Cultural Revival, come quello agli sgoccioli dell’Ottocento, con la neonata Gaelic League che chiedeva di “de-anglicizzare l’Irlanda” per la messa in libertà di una lingua e dei suoi fonemi.

E allora, al tempo dei biopic musicali, anche i Kneecap meritano di essere osservati attraverso la lente del cinema. Il primo a capirlo è stato l’inglese Rich Peppiatt – regista del videoclip Guilty Coscience – quando decide di scommettere sul trio per un biopic che racconta l’ascesa di un gruppo musicale. Scommessa vinta da subito, perché Kneecap di Peppiatt sarà il primo film in lingua irlandese ad arrivare al Sundance, dove vince il premio del pubblico, per poi fare il giro dei festival internazionali (European Film Awards su tutti) e per poco non rientra nella cinquina del Miglior Film Straniero agli Oscar 2025.

Ma per conoscere tutti i moventi della loro musica dall’estro militante e civile, serve riannodare il nastro al 2017 quando tre ragazzi di West Belfast danno forma a un collettivo di guerriglia culturale ancor prima del trio punk-rap. Il loro primo singolo si chiama C.E.A.R.T.A – che in gaelico significa “rights”, diritti – e in quelle parole scagliate nel flow di un aspro irlandese riecheggiano tutta la rabbia del maggio 2017, quando migliaia di attivisti marciarono su Belfast reclamando l’Irish Language Act.

Una legge subito!” recita lo slogan del collettivo apartitico An Dream Dearg, che quel giorno scende in piazza in nome di una giustizia linguistica mentre traccia la strada alla militanza musicale dei Kneecap. Quella marcia lungo la capitale – potentissima nel suo pacifico lamento – ispira come un faro il trio di Belfast che, proprio come gli intellettuali della Gaelic League, si sporca le mani e la voce dei tanti “Get Your Brits Out”. È il nome dello slogan ma anche dell’omonimo singolo del 2019, che con la rabbia del punk/hip-hop fa a pezzi i “bigots” del Partito Unionista Democratico (DUP), il più grande nemico culturale del gruppo.

Ma le battaglie, si sa, le vince chi non smette di credere nel finale. Così, tre anni dopo, nel 2022 è stato approvato nel parlamento del Regno Unito l’Identity and Language Act, che garantisce finalmente all’irlandese gli stessi status e diritti dell’inglese. Niente più divieti del gaelico nei tribunali dell’Irlanda del Nord ma il consenso ai membri dell’Assemblea di parlare la loro lingua nativa.

È la rivoluzione del linguaggio – nuovi fonemi, nuove idee – che ha tanto a che fare con la musica dei Kneecap e il loro cantare la sopravvivenza di una civiltà. Alla fine ci sono riusciti, dopo quel traguardo hanno continuato a fare musica e l’anno scorso è uscito il loro secondo album (il primo in studio) Fine art: è un’immersione truce nella penombra del Rutz, pub fittizio uguale a molti altri a Belfast, dove si respira profumo di birra e Buckfast.

E non è l’Irlanda del Nord, precisa in un’intervista Mo Chara, uno dei tre componenti del gruppo: “Il termine Northern Ireland – spiega – legittima la presenza del Regno Unito in Irlanda spingendo le persone a credere che l’invasione del nostro Paese fosse legittima. Noi invece crediamo che il Nord Irlanda sia uno stato illegale“.

D’altronde, “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” scriveva Wittgenstein accennando al brusio delle parole come lenti per guardarci attorno, in modo libero, autentico, immacolato. E la musica dei Kneecap non è altro che la più pura liberazione della cultura gaelica.


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