Storia semiseria di un amore platonico tra Burt Reynolds e Quentin Tarantino

Il 6 settembre è morto, a 82 anni, Burt Reynolds. Lo ricordiamo provando a ricostruire, tra fantasia e verosimiglianza, l’avvicinamento mancato tra l’attore e il suo grande fan, Quentin Tarantino

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Lo scorso 6 settembre è morto, a 82 anni, Burt Reynolds. Da Un tranquillo weekend di paura agli action scatenati degli anni ’80 fino a Boogie Nights, una delle facce da duro più riconoscibili del cinema hollywoodiano. Lo ricordiamo provando a ricostruire, tra fantasia e verosimiglianza, l’avvicinamento mancato tra l’attore e il suo grande fan, Quentin Tarantino

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Nasce sempre tutto dal western. Da quell’emblematic shot sul finale di La grande rapina al treno firmato Edwin Porter fino ai titoli di coda dell’ultimo film targato Coen Brothers, presentato qualche settimana fa a Venezia.

E forse sarà stata proprio la Mostra di Venezia di qualche anno fa a far sbocciare l’idea delle idee, nella testa di uno dei registi più filo-spaghetti-western degli ultimi venticinque anni, Quentin Tarantino.

Proviamo a supporre: Venezia 64, si diceva. A mezzogiorno in Laguna si gioca una partita decisiva, uno stallo alla messicana degno del miglior Sergio Leone. Motivo del duello è una rassegna organizzata dai due critici Marco Giusti e Manlio Gomarasca per rispolverare una trentina di classici del western all’italiana, ripercorrendo il mito del Selvaggio Ovest passando da Duccio Tesseri a Mario Caiano, da Enzo Castellari a Carlo Lizzani.
Se sia stato il caldo-umido settembrino – in verità così poco adatto per duellare -, o semplicemente la potenza delle immagini di Navajo Joe (1966) di Corbucci, nessuno può dirlo. Sta di fatto che Quentin Tarantino, a metà della rassegna sembrava già fuori dai giochi, perso tra i diversi salti temporali che caratterizzano le sue riflessioni, così come le sue sceneggiature: «Quel Burt Reynolds lì…!» avrà pensato.

Reynolds in realtà non aveva amato quel lavoro, nonostante il soggetto fosse stato scritto da Ugo Pirro e la colonna sonora da Ennio Morricone. 

Ma Quentin non se ne curava del malcontento del suo nuovo idolo ed un tarlo scavava e scavava nel capoccione. Quel Burt Reynolds lì, vestito da indio che combatteva contro i cacciatori di scalpi, continuava a zompettargli tra le sinapsi, con tanto di musica di Morricone ad accentuare la suspense tra un salto e l’altro.
Che per i due anni successivi a quella folgorazione il regista di Knoxville abbia continuato a pensare al protagonista di quel film è un fatto che, col senno di poi, anche il più maldestro dei detective (o degli psicologi) potrebbe dimostrare facilmente. Il 2009 è infatti l’anno di  Bastardi senza gloria, un fatto apparentemente senza connessione, che poco potrebbe dirci della segreta stima nutrita da Tarantino per Burt Reynolds.

E invece no! Tre indizi fanno una prova, diceva Agatha Christie, e nel nostro caso di indizi ne abbiamo a bizzeffe. Il primo, banalmente, è che anche per quel film la colonna sonora era di Morricone; il secondo è che i Bastardi erano dei cacciatori di scalpi e la terza è che, nel citazionismo che lo affligge, in una scena Tarantino fa comparire una mazza da baseball di marca Hutton & Aldrich, omaggio a Brian Hutton e, soprattutto, a Robert Aldrich.

Sì ma che c’entra Aldrich? Ma ormai è lampante! Nei due anni che intercorrono tra quella famosa rassegna ed il lancio di Inglourious Basterds immaginiamo un Tarantino deciso a recuperare tutto il possibile su Burt Reynolds, ma proprio tutto tutto!
Avrà sicuramente riguardato l’intera filmografia di Aldrich, soffermandosi questa volta non sulla valigetta di Un bacio e una pistola (1955) ma piuttosto sui film che avevano per protagonista il suo nuovo beniamino, Quella sporca ultima meta (1974) e Un gioco estremamente pericoloso (1975)

E a quel punto si sarà deciso, Reynolds prima o poi avrebbe dovuto prender parte ad un suo lavoro. Nei mesi successivi avrà continuato ad accumulare materiale, setacciando web ed archivi cinematografici. Durante la post-produzione di Django Unchained (un omaggio a Corbucci, un caso?), parlando con Franco Nero, sicuramente saranno uscite più e più storie su Reynolds e sul fatto che fosse un tipo a posto

In quel periodo la sagoma dell’attore la vedeva praticamente ovunque. In una notte insonne aveva deciso di guardare cartoni animati, così scoprendo che nel 1989 Reynolds aveva prestato la sua voce al protagonista di Charlie – Anche i cani vanno in paradiso. Incredulo aveva cambiato canale, imbattendosi in un episodio di My Name is Earl in cui il monolitico interprete del tenente Dan August si faceva operare ai genitali coccolato da Jason Lee.

Quella notte era un segnale. E la conferma delle conferme era arrivata giocando a GTA – Vice City.
In quel caso Reynolds doppiava un tycoon in una maniera talmente convincente che era ormai impossibile non contattarlo per proporgli una parte.

E quel fatidico giorno finalmente arrivò. Burt Reynolds avrebbe interpretato George Spahn nell’ultimo lavoro di Tarantino, Once upon a time in Hollywood.
Purtroppo però le cose non vanno sempre come vorremmo, Reynolds ci ha lasciati poco prima di girare le sue scene. Tarantino dovrà trovarsi un altro guardiano del ranch dove si riunivano Charles Manson ed i suoi, ma sicuramente avrà capito che anche i tycoon vanno in paradiso!

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