Storie pazzesche, di Damián Szifrón


Il giovane regista argentino confeziona una sorta di libro di racconti scorretti uniti dal sottile fil rouge di una rabbia repressa, ironica e scioccante. Resta un notevole senso dello spettacolo e della messa in scena, ma appaiono veramente lontani i tempi dell’anarchia visiva e viscerale del primo Almodovar, produttore del film. Un cinema che scorre via senza scorie…

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Sei storie folli. Selvagge. È questo l’intento del giovane regista argentino Damián Szifrón (al suo terzo film e a sorpresa in concorso lo scorso maggio a Cannes 67) che confeziona una sorta di libro di racconti scorretti, sei cortometraggi a se stanti, uniti dal sottile fil rouge di una rabbia repressa, ironica e scioccante che spesso sfocia in atti di violenza brutale. Lasciando sempre la morte in fuori campo a colpire lo stomaco dello spettatore. E allora: un episodio sulla vendetta di un pilota d’aereo che riunisce tanti fantasmi del suo passato nel suo ultimo tragicomico volo; la follia omicida che esplode in un ristorante di periferia a danno di un mafioso dal torbido passato; il delirante e violentissimo duello tra due automobilisti che sfocia in una farsesca fine; l’esplosiva vendetta verso la kafkiana burocrazia statale di un ingegnere specializzato in demolizioni; l’agghiacciante occultamento di un mortale incidente stradale che vede colpevole il figlio di un ricco borghese; infine uno sfrenato matrimonio dove i tradimenti incrociati faranno detonare gli istinti primari e barbari degli invitati. La crisi e il periodo durissimo che l’Argentina si sta faticosamente lasciando alle spalle traspare in controluce, se ne sentono gli echi lontani, in queste sei storie dove a dominare è un destabilizzante sentimento “antisistema” e un insinuante abisso morale. Una rabbia che non si contiene e sfocia in atti plateali: risse, coltelli, vetri rotti, macchine-bomba, aerei schiantati, vestiti nuziali sporcati di sangue, ecc.

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Superare ogni limite (individuale, sociale e cinematografico) e mettere in profonda crisi il concetto di “regola” in un mondo che sembra oggi ri-dominato da pericolosi istinti, eccoci allora, un evidentissimo sostrato sociologico spinge e giustifica questo baraccone colorato prodotto dai due fratelli Almodovar. Szifròn spinge prima il pedale della comicità macabra, ma dall’altro strozza in gola la nostra risata nella sua palese riflessione sull’oggi. Il problema è che tutto questo risulta un po’ troppo esibito e calcolato a tavolino per stupire veramente. Lo spettatore dopo pochissimi minuti entra “comodo” nel meccanismo e sa sin troppo bene dove ridere, dove riflettere, dove pensare, come fossimo in presenza di una tastiera di pianoforte (ben suonata, per carità) a cui forse manca l’anima. Certo resta un notevole senso dello spettacolo e della messa in scena (clamorosamente evidente nell’ultimo episodio, di gran lunga il migliore, quello di un matrimonio tradito che avrà conseguenze quasi bunueliane): Szifròn si destreggia con consumato mestiere nell’alternanza di umori e generi (dallo slapstick all’horror e ritorno in pochi frame) ma appaiono veramente lontani i tempi dell’anarchia visiva e viscerale del primo Almodovar (citato sottilmente qui e là). Un film che, purtroppo, scorre via senza scorie…

Titolo originale: Relatos Salvajes
Regia: Damián Szifron
Interpreti: Ricardo Darín, Leonardo Sbaraglia, Darío Grandinetti, Erica Rivas, Julieta Zylberberg, Nancy Dupláa, Oscar Martinez, María Onetto, Rita Cortese, Osmar Nuñez
Origine: Spagna, Argentina, 2014
Distribuzione: Lucky Red
Durata: 115′

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