“Su Re”, di Giovanni Columbu

Su Re
Su Re, di Giovanni Columbu, vive di una messa in scena ruvida e increspata, tutta visibile nelle folte e ispide barbe che scolpiscono i volti degli attori, nei tratti irregolari di un Cristo dolorosamente stordito dalla sua personale passione. Si va alla ricerca del mistero, dell’assoluto di una storia che non può che svolgersi in Sardegna, ma il film sembra disperdersi senza avere la necessaria conduzione per trasmettere il dramma. Si resta un po’ freddi davanti a pur tanto materiale che dovrebbe infiammare l’anima e gli occhi

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Su ReLa Sardegna forse aveva bisogno di una sua Passione, di una trasposizione a propria misura della più grande storia mai raccontata, della tragedia che incarna l’immanenza dell’uomo dentro l’essenza divina, della messa in scena del mistero della morte di Cristo. Aveva bisogno di una Tragedia che fosse realizzata attraverso una simbologia antica e radicata, che fosse scritta dentro uno scenario immediatamente riconoscibile e una lingua che si facesse parte del mistero e del dramma evangelico. Su Re vive di una messa in scena ruvida e increspata,come gli abiti degli attori che richiamano alla immediata memoria l’ancestrale iconografia sarda, tutta disegnata e visibile nelle folte e ispide barbe che scolpiscono i volti degli attori, nei tratti irregolari di un Cristo dolorosamente stordito dalla sua personale passione. Columbu cerca il mistero, cerca l’essenza, cerca l’assoluto di una storia che umanamente non può che svolgersi secondo la sua idea dentro la sua Sardegna che offre, nella secca orografia della Barbagia l’unica strada possibile per la rappresentazione della Passione. È la solitudine senza soluzione dei luoghi ad offrire lo scenario drammaticamente indispensabile alla realizzazione e Columbu ne è cosciente poiché sfrutta sapientemente la selvaggia essenza delle pietre della Barbagia per farne teatro della rappresentazione del mistero e del dolore.

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Si allunga quindi la lista di nomi che da Ray a Zeffirelli, da Pasolini a Jewison, da Gibson a Ciprì e Maresco si sono cimentati nella messa in scena della Passione di Cristo, e Columbu ne fa anche una questione territoriale, d lingua e di simboli. Ma il cinema non è solo messa in scena, non è solo parola e immagine, non è solo storia e il Su Re di Columbu sfiorando l’agiografia sarda, si adagia su questi elementi ricercando solo in questi una forza espressiva da comunicare. Sembra che nel tragitto che l’immagine compie dallo schermo allo spettatore, si consumi, senza arrivare la forza emotiva che la storia, i volti e le parole dovrebbero trasmettere, quasi che il sovrappiù che il film contiene, pur nella sua secca ed essenziale messa in scena, si disperda improvvisamente senza avere la necessaria conduzione per trasmettere il dramma. Si resta un po’ freddi davanti a pur tanto materiale che dovrebbe infiammare l’anima e gli occhi, comprendendo che le parole hanno un senso e che se la tradizione vuole che questa storia sia tramandata con il nome di Passione, una ragione ci deve pur essere, e dentro questa parola c’è l’irrazionalità e il dolore, il mistero spontaneo di una morte divina e nessuna operazione solo intellettuale e freddamente cerebrale ne potrà mai sondare il segreto e raccontare l’emozione.   



Titolo originale: Id.
Regia: Giovanni Columbu
Interpreti: Fiorenzo Mattu, Pietrina Menneas, Tonino Murgia, Paolo Pillonca, Antonio Forma
Origine: Italia, 2012
Distribuzione: Sacher
Durata: 80’

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