SUDAFRICA 2010 – Caro leader compagno…
Hai visto il tuo Jong Tae Se, professione centravanti. È lo stesso che si è lasciato andare a un pianto dirotto durante l'esecuzione dell'inno nazionale. Tutto come programmato, se non fosse stato per tre gravi imprevisti: la parabola fuori traiettoria, che avrebbe dovuto prendere un’altra direzione, quel maledetto video che sta facendo il giro del mondo e che rischia di infangare l’onore della Patria, ma soprattutto hanno scoperto che i nostri tifosi sugli spalti in realtà sono attori cinesi…
Hai visto il tuo Jong Tae Se, professione centravanti. È lo stesso che si è lasciato andare a un pianto dirotto durante l'esecuzione dell'inno nazionale. Sicuramente sai che è nato in Giappone, a Nagoya, 26 anni fa, da genitori sudcoreani espatriati durante la guerra. Ragazzino, è stato mandato dalla madre a studiare alla Chongryon School dove ha cominciato a giocare a calcio. E poi, all'Università privata della Corea del Nord a Tokyo. Lì ha scelto la cittadinanza nordcoreana anche se continua a giocare in Giappone per il Kawasaki Frontale. Con la tua nazionale ha disputato 20 partite segnando 12 gol. Caro leader compagno Kim Jong-il , proprio come hai ordinato, la nazionale è giunta in Sudafrica, passando praticamente inosservata. Lo sbarco della selezione a Johannesburg è stato sostanzialmente ignorato dai media e persino la Fifa, che ha documentato in maniera dettagliata l'arrivo degli altri team, non ha offerto un resoconto sul proprio sito media. La squadra ha persino rifiutato il bus ufficiale della Fifa per non farsi riconoscere, alla prima con gli stregoni brasiliani, e ai giornalisti che li seguono chiedono il passaporto, sempre come ordinato, per essere sicuri che non siano infiltrati sudcoreani o americani. Il tuo allenatore,“The Korean Candidate”, ha parlato in conferenza stampa, solo perché le regole della Fifa lo hanno obbligato a farlo prima della partita, ma si è limitato a rispondere, alla parola subliminale giuntagli telefonicamente, un attimo prima di rilasciare questa dichiarazione: “Passeremo il turno”. Purtroppo il risultato non è stato come quello di 44 anni fa contro gli spavaldi ed ignari italiani, nonostante i nostri soldati abbiano onorato la divisa, combattendo fino in fondo, non disdegnando qualche sortita offensiva, che ha comunque creato imbarazzo e paura tra le linee nemiche, sicuramente meglio equipaggiate. Oggi nel calcio che conta sembra sufficiente chiudersi a riccio, non pretendere di imporre il proprio gioco, muoversi senza sosta creando catene, blocchi, pressing, accorciando le file. La nostra perfetta organizzazione di gioco preventivo, ha imbrigliato i