Sulmonacinema – Il cinema sarà (cosa?) meravigliosa

La terza edizione con Roberto Silvestri in veste di direttore artistico continua il lavoro che da anni leggiamo sulle "Visioni" de Il Manifesto… un laboratorio permanente che continua a cercare innanzitutto domande prima che risposte. Partendo dall'amore che si forma tra lo schermo e lo spettatore.

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"Sulmonacinema (dipendenti)". Così l'amore assoluto di Roberto Silvestri per le visioni si manifesta ancora una volta; scritta sulle magliette, a mo' di punk, dipendenza esibita come unica "linea" a cui si può essere fedeli, senza che questa si (s)pieghi mai a disegno, piano preciso. La filiazione prende atto che l'occhio si è già modificato dopo cent'anni di immagini in movimento, e lo riporta anche sul volto ideale di Ovidio, il più illustre dei sulmondini, celebrato dal festival sulla copertina del catalogo e nella sigla che apre le proiezioni. Sempre diverso, modificato, cyborg, in continua mutazione, il cantore delle Metamorfosi reso antesignano del cinema, arte in cui i corpi si trasformano 24(+/-) volte al secondo e che oggi continua a perdere la specificità a cui la struttura ferrea dell'industria vorrebbe da sempre costringerlo, e si apre dall'interno a forze e (im)materiali. TetsuOvidio. E OvidioSilvestri che queste trasformazioni raccoglie e prova a diffonderne i bagliori convinto, come scrive, che è un mondo non monolitico. Non omogeneo. Delle differenze. Che produce da sé il proprio senso. Non più o non solo semplicemente (in)dipendenti (dai disegni e dalle gabbie del dominio), piuttosto (indi)pendenti, appesi a quel nonluogo che è lo schermo per provare a immaginare le mutazione avvenenti e avvenute. L'amore/dipendenza di Silvestri ha superato la spada o il proiettile come materia altra la cui penetrazione avvia soltanto il processo di decomposizione, per gli innamorati la morte non esiste, ci sono solo (R)Evolution come quella digitale su cui si concentra il convegno coordinato da Federico Ercole, che non piange sul cinema/videogioco piuttosto ne esplora la carica insurrezionale (in primis lo spettatore/regista) partendo da Zelda di Miyamoto.

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Non ci sono morti, dicevamo, e Sulmonacinema nel celebrare Carmelo Bene e Dylan Thomas sfugge da ogni mummificazione e ne mostra immagini e voci e forza ancora vive. Attraversano il libro di ricordi curato da Gioia Costa, A CB, che pur partendo dal "Carmelo non c'è più" dopo aver elencato quanto resta conclude con "che torna improvviso"; come è sembrato durante le proiezioni di A piena voce e Carmelo Bene: La voce che si spense, regia di Michele Schivino con interviste raccolte da Lucia Di Giovanni il primo, sunto di un programma di quattro puntate curate dal montatore di CB Mauro Contini e da Marianna Ventre per la Rai International (negateci per ora e chissà forse per sempre "in chiaro") il secondo, quando, a dispetto dei titoli celebranti la Voce del Maestro questa gracchiava o spariva sfuggendo alla riproduzione delle macchine. Ci pensi Godfrey Reggio, di cui si riproponeva l'intera trilogia, la macchina non ha ancora vinto.

Lo aveva capito Dylan Thomas, morto come il "Mercante delle quattro stagioni" dopo 18 scotch (chissà a chi brindava), che scriveva l'incompleto Under Milk Wood per la radio, realtà virtuale a cui affidare versi che sfondano le gabbie significanti delle parole per liberarne la musicalità. La sua poesia sommerge le immagini, tanto nel documentario di Nigel Watts che parte da un radiodramma diretto e interpretato da Anthony Hopkins, Dylan Thomas: Under Milk Wood,  quanto in Dylan on Dylan di Andrew Sinclair, che nel '72 ha trasformato le 70 storie di questo "Spoon River dei vivi" in un film con Peter O'Toole nei panni del vecchio marinaio cieco e Liz Taylor in quelli di Rosie.


Cinema che si è mischiato con la radio, con il teatro, che annulla i supposti confini con la televisione attraverso l'opera di Michael Moore, che nelle trasmissioni televisive TV Nation e The Awful Truth, non si lascia sopraffare dal mezzo ma ne sfrutta le potenzialità come nei documentari attaccando senza mezzi termini i soliti noti delle multinazionali e del potere. Perché la sfida con la macchina è in sé una battaglia politica, appropriarsi dei mezzi implica un uso contro la tecnocrazia che ne fa strumento di controllo, rete invisibile che stritola anziché liberare.


Chiaro che a Sulmona siano convinti che il processo di liberazione passi oggi attraverso la contaminazione e si incrocia con il cinema giapponese, che si interroga e modifica in tutte le direzioni, dal "mitico" Zatoichi di Kitano (in anteprima) al futuristico Interstella 5555 passando per gli incubi di Tzukamoto in A Snake of June. Lo stesso non si può dire per tutti i film italiani, selezionati tra opere prime e seconde, da Perduto Amor di Battiato a Passato Prossimo di Maria Sole Tognazzi, Mundo Civilizado di Luca Guadagnino, Fame Chimica (uscirà a marzo) e Mio Cognato, a cospetto (con dovuti distinguo) di Pesci Combattenti di Andrea D'Ambrosio e Daniele Di Biasio, Guerra di Pippo Delbono o Piovono Mucche di Vendruscolo, più spostati verso il "documentario" (ma come ripete Silvestri citando Straub e De Oliveira "quale film non lo è…") sembrano perdere il contatto con la mutazione proprio mentre si caricano di fiction. La "realtà" appare più allucinata di quanto sia "immaginabile", l'autorialità imposta dal sistema italiano si fa spesso filtro ripulente, forse sarebbe meglio provare a "scomparire" come Gianikian/Ricci Lucchi nei tre corti prodotti da Fuori Orario nel 2001 o Ciprì/Maresco (due coppie in barba a quanto ripete Nanni Moretti) nel documentario dedicato a Miles Davis (Miles Gloriosus).


Oppure farsi filtro e basta, come Tonino De Bernardi, chiamato a girare durante il festival una Latitudine (42° 03' Nord), progetto (tra gli altri) di cui una parte si vedrà a Torino, che dopo aver sondato il "lato femminile" in Lei (che indaga la mutazione in ogni suo aspetto) parte dall'inesistente misurazione del mondo per continuare a mangiare e riproporre immagini di un unico Theatrum. Che Sulmonacinema si sogna di invadere, modificare, contaminare a sua volta, portando l'effetto speciale della neve al centro della cittadina abruzzese. Sarà questo il cinema del futuro? Che si staccherà dallo schermo e verrà a renderci la vita una cosa meravigliosa?

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