Superpower, di Sean Penn, Aaron Kaufman
Yn’ode al popolo ucraino e al suo leader Zelens’kyj. Peccato che il documentario non faccia una riflessione sulla sottilissima linea che divide lo spazio artificiale da quello reale. Berlinale Special
Nel 2019 la filosofa francese Sandra Laugier ha pubblicato il saggio Nos vies en séries (Flammarion), nel quale indaga il rapporto tra realtà e finzione e, in particolare, come le serie siano ormai non solo specchio ma anche effettive creatrici della nostra realtà.
Tra interviste, immagini di repertorio e serie televisive, il documentario Superpower, co-diretto da Sean Penn e Aaron Kaufman, affronta il conflitto bellico russo-ucraino. Presentato nella sezione Berlinale Special Gala alla 73° edizione della Berlinale, il film è un’ode alla libertà, un supporto urgente ad un popolo che resiste.
Ripercorrendo il viaggio intrapreso dai due registi e la loro fedele troupe, lo spettatore assiste ad un’indagine che, tra Ucraina e Stati Uniti, cerca di ricucire la storia recente, a partire dalla presidenza di George H. W. Bush. Super eroe non è altri che il presidente dell’Ucraina, Volodymyr Zelens’kyj. Con testimonianze disparate, dall’ex pugile e politico Vitalij Klyčko al regista e produttore Fernando Sulichin, fino all’ex Consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Robert C. O’Brien si crea un mosaico di osservazioni sulla figura di Volodymyr Zelens’kyj.
Il progetto era nato nel 2019, con l’idea di raccontare questo personaggio già particolarmente significativo all’epoca, come ha raccontato il produttore Billy Smith. Un personaggio (sur)reale che si presta benissimo alla narrazione cinematografica: cosa c’è di più incredibile di un comico che interpreta il presidente dell’Ucraina per poi prendere in mano concretamente proprio quella carica politica nella realtà?
Lo scoppio della guerra il 24 febbraio 2022 ha dato una scossa al progetto iniziale: le vicende brutali hanno reso il personaggio di Zelens’kyj ancora più impressionante: non si tratta più di un politico che ha alle spalle una carriera da attore, ma di un eroe del popolo.
Penn e Kaufman non si sono tirati indietro davanti al conflitto armato. Anzi, la loro voglia di lottare insieme agli ucraini li ha portati fino in trincea. “Non è un film imparziale perché non è una guerra ambigua”, ha affermato Sean Penn. Definendo il documentario come parte di una “famiglia allargata”, il regista americano ha fatto riferimento ai documentari di Evgeny Afineevsky (Winter on Fire, Freedom on Fire), una lotta per la democrazia condotta dall’arte.
Servitore del popolo (2015-2019), la serie satirica ucraina con protagonista Volodymyr Zelens’kyj, si presta bene al discorso filosofico attuato dalla Laugier: le immagini dello schermo sono uscite dalla cornice, trasformandosi in realtà politica in un batter d’occhio. Peccato che il documentario non faccia una riflessione sulla sottilissima linea che divide lo spazio artificiale da quello reale della questione; il messaggio fondamentale è quello di informare il mondo, soprattutto il popolo americano, della gravità del conflitto in atto.