"Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street", di Tim Burton

Anche quest’ultimo film conferma che, quando la creazione non è totalmente in mano al cineasta e il soggetto a cui l’opera è ispirata non è originale, si avvertono dei segni di un compiaciuto formalismo autoriale che era invece totalmente assente nella sua filmografia nel decennio precedente. C’è un certo disagio con le forme di un musical che combina danza e morte che non esplode mai. E’ come se la genialità di Burton stia diventando sempre più “kubrickiana”, troppo costruita, anche perfettamente, sul dettaglio

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Sta invecchiando improvvisamente e inaspettatamente il cinema di Tim Burton. Sta subendo un’involuzione diversa nella forma ma simile nei risultati a  quella di Martin Scorsese da  Gangs of New York in poi. Ovviamente, nel caso di Burton, vanno sicuramente lasciati fuori l’intenso e struggente Big Fish e quel capolavoro rappresentato da La sposa cadavere. Ma anche quest’ultimo Sweeney Todd conferma che, quando la creazione non è totalmente in mano al cineasta e il soggetto a cui l’opera è ispirata non è originale, si avvertono dei segni di un compiaciuto formalismo autoriale che era invece totalmente assente nella sua filmografia nel decennio precedenti, dal personaggio di Batman alla vicenda biografica di Ed Wood fino a Il mistero di Sleepy Hollow che era tratto dal racconto di Washington Irving. Già il remake di Il pianeta delle scimmie, realizzato nel 2001, appariva come un’operazione visivamente anomala e piuttosto estranea alla dimensione “burtoniana”. Nell’altro suo rifacimento, La fabbrica di cioccolato, la meccanicità del décor, l’ingranaggio dei suoi oggetti-giocattolo, finivano per soffocare quella dimensione gotico-funereo-fantastica che ha reso sempre grande il suo cinema.

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Anche in Sweeney Todd c’è un testo alla base, quello teatrale di Christopher Bond del 1973 che è servito da base al giallo vittoriano e musical, Sweney Todd: The Demon Barber of Fleet Street di Stephen Sondheim che venne rappresentato per la prima volta a Broadway il 1° marzo 1979 e lasciò inizialmente interdetto il pubblico prima di trasformarsi in un enorme successo. Sembra che la storia sia ispirata a un personaggio realmente esistito che si è reso responsabile di circa 160 omicidi nella Londra del XVIII° secolo. E’ comunque più accreditata la tesi che questa vicenda sia totalmente inventata. Questa figura comunque ha ispirato in passato soggetti cinematografici (tra cui uno del 1928 di Walter West e uno del 1936 di George King) e televisivi. Anche John Schlesinger ne ha girata una versione nel 1998 per la televisione (The Tale of Sweeney Todd) che è stata distribuita in Italia nel mercato home-video e vedeva Ben Kingsley nei panni del celebre barbiere. Il film di Burton parte proprio dal ritorno di Sweeney Todd (Johnny Depp) a Londra. Prima si chiamava Benjamin Barker ed era felicemente sposato con una moglie bellissima e aveva una bambina piccola. Il giudice Turpin (Alan Rickman) però è follemente innamorato della sua consorte e lo fa ingiustamente imprigionare. Dopo essere tornato in libertà, raggiunge la sua vecchia bottega. Sotto c’è Mrs. Lovett (Helena Bonham Carter) che ha aperto un negozio di pastici di carne. Dalla donna, che è segretamente innamorata di lui, viene a sapere che la moglie, pur di non stare con Turpin, ha deciso di avvelenarsi mentre la figlia è stata cresciuta dal giudice e reclusa nella sua abitazione. L’uomo ormai ha soltanto il desiderio di vendicarsi.

Sweeney Todd presenta diversi spunti di interesse. Si tratta infatti della sesto film che il regista ha girato insieme a Johnny Depp (compreso La sposa cadavere), del secondo film con cui non lavoracon il musicista Danny Elfman (il primo era Ed Wood) e della sua prima collaborazione con il direttore della fotografia Dariusz Wolski i cui colori spettrali rimandano a quell’illuminazione che aveva creato sia in Il corvo sia nella trilogia (La maledizione della prima luna, Pirati dei Caraibi: la maledizione del forziere fantasma e Pirati dei Caraibi: ai confini del mondo) che vedeva proprio il protagonista di questo film nei panni del Capitano Sparrow.

Chiaramente Burton sembra rimandare a quelle forme di horror gotico sospese tra Corman e Bava, utilizza i colori accesi amplificando cromaticamente (il sangue soprattutto) quelli dei film della casa Hammer, recupera atmosfere dickensiane del cinema di David Lean e soprattutto filma le figure della moglie e della figlia cresciuta di Sweeney Todd quasi come ‘romantiche apparizioni’ simili al modo in cui Browning aveva rappresentato la figura di Mina nel suo Dracula del 1931. Eppure a questa estrema densità corrisponde stranamente un’atmosfera artefatta, dove le stesse consuete figure (Depp e la Bonham Carter) appaiono come pedine in mano di un burattinaio che questa volta gli impedisce di vivere una vita propria. La leggenda viene come personalizzata, rivissuta e filtrata dallo sguardo del cineasta che mostra soprattutto un certo disagio con le forme di un musical in cui si combinano danza e morte ma che non esplode mai. Forse questo era un soggetto più adatto nelle mani di un cinesta senza controllo come Luhrmann. Burton ha dalla sua sicuramente la genialità che sta diventando però sempre più ‘kubrickiana’, troppo costruita, anche perfettamente, sul dettaglio. E Sweeney Todd resta anche stavolta intrappolato in un meccanismo preesistente che Burton fa sicuramente suo ma non lo fa vivere più nel suo universo.

 

Titolo originale: Sweeney Todd: the Demon Barber of Fleet Street

Regia: Tim Burton

Interpreti: Johnny Depp, Helena Bonham Carter, Alan Richman, Timothy Spall, Sacha Baron Cohen, Jayne Wisener

Distribuzione: Warner Bros. Italia

Durata: 117’

Origine: Usa, 2007

 

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