Danny Boyle ha incontrato oggi la stampa romana per presentare il suo T2 – Trainspotting, attesissimo sequel di un film che ha segnato un’era generazionale. Presentato in anteprima mondiale a Edinburgo, in uscita nelle sale italiane il 23 febbraio subito dopo il passaggio al Festival di Berlino, il film vede riunirsi l’intero cast dopo ben vent’anni dal primo capitolo Trainspotting, basato sull’omonimo libro di Irvine Welsh, e prende anch’esso spunto dal seguito scritto dall’autore, Porno (che è ambientato però circa nove-dieci anni dopo), benché sostanziali modifiche siano d’obbligo. “L’adattamento cinematografico dei testi di Welsh viene curato da John Hodge, che personalizza la trama. All’inizio avevamo fatto un vero adattamento al romanzo ma non ci soddisfaceva, abbiamo voluto fare un qualcosa di più personale sul passare del tempo, su come gli uomini accettano o no il passare del tempo. Dopo nove anni non avevamo nulla di interessante da dire che non fosse una replica del primo film. Abbiamo deciso di aspettare, ed è stato rischioso. Il centro del film riguarda cosa è successo ai personaggi nel passare degli anni, e cosa è successo a noi.“

Si parlava da anni di un sequel per Trainspotting, i fan del primo film di Boyle caldeggiavano un ritorno di Renton, Sick Boy, Spud e Begbie: “la Sony aveva fatto un sondaggio tra il pubblico di Trainspotting chiedendo che cosa avrebbero voluto ritrovare a tutti i costi in un sequel, e le tre risposte principali sono state: i quattro attori del cast originale, Kelly Macdonald, e la soundtrack…

La musica in T2 funziona come connessione al primo film, alcuni brani sono stati riproposti remixati, e funzionano un po’ da innesto per far scattare i ricordi del film precedente; il resto della colonna sonora, tranne Blondie e Radio Ga Ga, contiene brani nuovi a cui abbiamo dato però un grande rilievo.” Non è soltanto la musica a fare da collante tra il primo capitolo e il secondo, anche il montaggio ‘gioca’ con i ricordi rispetto a molte sequenze rimaste iconiche nel film precedente: “non volevamo cadere troppo nella nostalgia, la presenza nel montaggio di sequenze del primo film, sono frammenti aggiunti quasi tutti successivamente perché sono legati ai ricordi suscitati negli attori mentre giravamo le scene.”

Un forte simbolismo che rimane avviluppato al film del ’96, sebbene le premesse, i tempi e i personaggi siano cambiati e avvolti da un’atmosfera del tutto diversa rispetto a vent’anni fa: “sia il primo che questo, non sono film politici né realistici alla Ken Loach, i personaggi vivono in una sorta di bolla, di realtà aumentata, anche se la realtà contemporanea ha sicuramente un effetto sul film“, commenta Boyle, “la delusione di quello che poi non è stato è un po’ il fulcro dei personaggi, soprattutto di Renton. Ma il fine non era fare un film dai toni realistici, quanto piuttosto parlare del rapporto tra mascolinità e passare del tempo. I personaggi del primo erano giovani e spavaldi, ora è forte l’atmosfera di disillusione, di delusione legata al tempo che passa.” Disillusione senza appello? No, perché c’è comunque spazio per un’idea di riscatto e speranza, che “risiede ironicamente nel personaggio che sembra essere quello più senza speranza di tutti: Spud“.

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