TALLINN 13 – "Vortex", di Gytis Luksas (Concorso film baltici)

Duburys - Vortex, di Gytis Luksas
Pellicola che ha il procedere del racconto letterario di ampie dimensioni ma che mai si riduce a illustrazione degli eventi trattati, trasformandoli invece, sempre, quegli eventi in rigorosa forma filmica con la quale elaborarli e dar loro ulteriore senso epico e tragico

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vortexUn film che ha il procedere del racconto letterario di ampie dimensioni ma che mai si riduce a illustrazione degli eventi trattati (alla base c’è un celebre romanzo storico lituano degli anni Novanta di Romualdas Granauskas), trasformandoli sempre, quegli eventi, in rigorosa forma filmica con la quale elaborarli e dar loro ulteriore senso epico e tragico. Duburys (titolo internazionale Vortex) arriva dalla Lituania e conferma l’unicità di una cinematografia, tra quelle dei paesi baltici e non solo, in primo piano nel disegnare una propria personale identità senza compromessi (come era, senza comunque voler fare paragoni, il cinema portoghese nei suoi anni più fiammeggianti). Con autori che lavorano in maniera soggettiva nei meandri della finzione e del documentario, e di una memoria filmica affiorante dal profondo, mai didascalica.

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Duburys è il nuovo lungometraggio di Gytis Luksas, uno dei cineasti storici del cinema lituano. Nato nel 1946, si è diplomato al Vgik di Mosca e dagli anni Settanta è autore di numerosi cortometraggi, documentari e lungometraggi per il cinema e la televisione, nonché presidente del sindacato dei registi lituani. Attività che lo ha tenuto impegnato negli ultimi anni e per questo motivo per diverso tempo lontano dai set. Duburys (in concorso a Tallinn nella sezione che il festival dedica ai film di Estonia, Lettonia e Lituania) è il suo magnifico ritorno dietro la macchina da presa e narra, in uno splendente bianconero e nei tre tempi dell’infanzia, dell’adolescenza e dell’età adulta, l’educazione sentimentale di un ragazzo, Juzik (Giedrius Kiela), ai tempi dell’Unione Sovietica. Dalla sua vita nel villaggio, segnata dalla scomparsa del padre e dall’amicizia con un coetaneo, che muore, alla prima esperienza di lavoro lontano da casa, in una miniera dove incontrerà due giovani donne le cui esistenze sono già state duramente, e per sempre, toccate da incontri laceranti. Una di loro, Maska (Oksana Borbat), diventerà sua moglie, mentre attraverso capitoli, che rimandano a un procedere letterario fatto ri-respirare in ogni istante dalla nitidezza delle inquadrature, il film continua a esplorare il desiderio, le tensioni, i dubbi, le crisi esistenziali dei personaggi.

C’è, in Duburys (parlato in lituano e russo, e che rappresenta la Lituania ai prossini Oscar), il respiro del miglior cinema russo del passato, l’adesione a una poetica classica eppure straordinariamente moderna, l’incontro di un’epicità mai perduta e già densamente problematica (viene in mente più volte, durante le quasi due ore e mezzo di Duburys, il cinema di Marlen Kuciev, e un suo capolavoro come Infinitas, anche solo nelle scene speculari d’inizio e fine in cui Luksas filma un fiume e le sue due rive, luogo centrale e espanso nel tempo di tutto il testo) con la modernità delle nouvelles vagues e di quel cinema dell’esistenzialismo che indagava le relazioni (im)possibili di una coppia. Perché Duburys sembra arrivare da un’altra epoca, memoria e presente di un cinema senza tempo che qui riaffiora dal vortice (fisico, mentale, simbolico) nel quale, esplodendo ciclicamente e mantenendosi sotterraneamente giorno dopo giorno, si trovano immersi i personaggi e gli ambienti. Forse, con una via d’uscita da esso che l’epilogo lascia immaginare…

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