Tant que le soleil frappe (Beating Sun), di Philippe Petit

Un film sul mondo del lavoro e sulle leggi del mercato, un’opera prima piccola ma inquieta, aperta al tempo presente. Settimana della Critica

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Il sole battente del titolo è quello di Marsiglia, la città più mediterranea e socialmente stratificata di Francia. È un sole quasi asfissiante quello che scende sulla piazza grigia e asfaltata dove l’architteto Max vuole costruire un giardino pubblico, all’aria aperta, con il sostegno di alcuni cittadini locali. Un progetto che gli addetti ai lavori definiscono “interessante, ambizioso”, eppure viene puntualmente rifiutato da tutti i concorsi. Quando un ragazzino muore per essere accidentalmente caduto in una voragine del piazzale, Max, che per sostenere la propria famiglia lavora in nero, sottopagato e senza tutela sanitaria, prova ad accelerare i tempi. Chiede aiuto a un architetto di fama che lo coinvolge in un lavoro presso la villa di un calciatore vip. Max accetta, sperando in questo modo di poterlo convincere a finanziare il giardino.

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Nella prima scena vediamo il protagonista parlare da solo, tra sé, seduto in mezzo alla piazza, come un individuo lunatico senza fissa dimora. Bisbiglia il discorso da fare per promuovere il suo progetto ma di fatto è già un alieno in un mondo urbanizzato e omologato. Un mondo che Max, professionista inafferrabile dal Sistema in quanto rigoroso e utopista, rifiuta fino all’autolesionismo. La sua diventa presto una vera e propria lotta contro le logiche di potere che impongono la politica degli spazi urbani. L’approccio ossessivo del protagonista sembra ricordare alcuni personaggi dei fratelli Dardenne o di Brizé. Ma lo stile piano, trasparente, rimanda soprattutto ai primi film di Laurent Cantet. Non c’è la ricerca di un sensazionalismo nella forma o nella scrittura, ma l’incedere ineluttabile di una parabola dove la “visione” del singolo è costantemente messa in crisi dai fattori del reale, o dal “realismo capitalista” direbbe Mark Fisher. E quindi Tant que le soleil frappe è un film sul mondo del lavoro e sulle leggi del mercato che castrano l’immaginario e l’utopia. Sull’incompatibilità della coerenza ideologica ed etica nel mondo contemporaneo. Sull’impossibilità di una progettualità sociale e urbana alternativa alla gentrificazione. Insomma, un film politico, un’opera prima piccola ma inquieta, aperta al tempo presente.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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