Tapirulàn, di Claudia Gerini

Un debutto ambizioso quello dell’attrice che però finisce per essere prigioniero del suo stesso meccanismo narrativo e non adeguatamente supportato

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La vita in una stanza. Ci sono contemporanemente gli effetti Covid (e post) e il sempre maggiore disagio di interagire fisicamente con gli altri nel debutto dietro la macchina da presa di Claudia Gerini. L’attrice interpreta anche il ruolo della protagonista, Emma, una donna che lavora come consulente psicolgica on-line mentre corre sul suo tapis roulant. Tra i suoi pazienti c’è chi subisce violenza domestica, chi non ha il coraggio di affrontare la propria omosessualità, chi non dorme più la notte perché tormentato dal senso di colpa, chi è affetto da attacchi di panico, chi vorrebbe avere un altro aspetto fisico. All’improvviso riceve una chiamata da Chiara. Inizialmente non risponde. Poi la affronta. Si tratta della sorella minore che non vede da tempo e la costringe a riaffrontare un passato che aveva cercato di dimenticare.

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Tapirulàn si apre con la citazione di L’arte di correre di Haruki Murakami e si porta dietro i segni, e anche le difficoltà produttive e realizzative, del cinema italiano nell’era della pandemia. L’esordio di Claudia Gerini è un film sulla distanza, sulla possibilità di una convivenza con gli altri senza gli altri, sullo sguardo verso l’esterno dove anche il parco sotto casa visto da una vetrata può essere un luogo lontanissimo. Emma non programma viaggi, lavora senza orario e il suo futuro non è altro che il prolungamento del suo presente. Gerini mette in gioco tutta se stessa e recupera frammenti di quella claustrofobia esistenziale di La sconosciuta di Tornatore dove ha interpretato il ruolo di Valeria Adacher.

Si tratta senza dubbio di un debutto ambizioso, sui limiti del corpo e della mente, sull’interno come rifugio ma anche come una specie di cella. Mette in gioco tutte le potenzialità della recitazione, nei limiti dove ci si può spingersi per migliorarsi: gli obiettivi dell’allenamento di Emma e quelli di migliorare il rating sul lavoro somigliano a quelli di un lavoro preparatorio di un attore quando deve interpretare un nuovo personaggio e deve spingersi oltre le zone oscure. Tapirulàn, nell’amplificare l’autoesclusione verso l’esterno, però finisce per diventare prigioniero del suo stesso meccanismo narrativo anche a causa di una scrittura che non lo supporta adeguatamente. I traumi dei pazienti finiscono per risultare ripetitivi, così come il passato familiare della protagonista emerge anche con flashback che appaiono forzati. Il vero limite del film è la sua necessità di spiegare quando poteva limitarsi a suggerire. E le conversazioni di Emma con i pazienti somigliano ai provini degli attori dove si sente il peso del dialogo da recitare. C’è sicuramente il tentativo di uscire fuori dal terreno del dramma intimista del cinema italiano. Tapirulàn non urla ma è un cinema che parla troppo. Così tutta la costruzione, anche interessante, dei personaggi con cui Emma interagisce resta incompiuta e la struttura del film è simile a un palazzo dove i lavori sono stati fermati e restano solo le impalcature.

 

Regia: Claudia Gerini
Interpreti: Claudia Gerini, Claudia Vismara, Stefano Pesce, Maurizio Lombardi, Corrado Fortuna, Daniela Virgilio, Lia Greco, Fabio Morici, Marcello Mazzarella, Antonio Ferrante
Distribuzione: Milano Talent Factory
Durata: 102′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
Sending
Il voto dei lettori
2.43 (35 voti)
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