TEATROTEKA. Sentieri Selvaggi intervista Agnieszka Smoczyńska

La cineasta polacca, a Roma per Teatroteka, ci ha raccontato del suo lavoro ibrido “Vostra Altezza”, dei primi due film The Lure e Fugue, e di quello in arrivo a Cannes, The Silent Twins

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Agnieszka Smoczyńska ha raggiunto il successo dopo il folgorante esordio, tenuto a battesimo dal Sundance nel 2016, che le ha insignito il gran premio della giuria per The Lure, un talento poi confermato dal secondo potentissimo film Fugue, presentato a Cannes alla Semaine de la Critique. La regista polacca è arrivata a Roma per presentare Wasza Wysokość (Vostra Altezza), un lavoro del 2015 inserito all’interno di Teatroteka, una rassegna pensata per trasporre in prodotto televisivo la migliore drammaturgia nazionale.

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Come nasce l’idea di partecipare a Teatroteka? Avevi già delle esperienze teatrali? E come sei riuscita a  legare tra loro questi due mondi adiacenti, per qualcuno addirittura complementari? Vostra Altezza contiene poi degli archetipi, la morte, l’amore, la metafora. Tutti elementi riferibili alla tragedia greca

La casa di produzione polacca responsabile del programma ha una politica precisa, quella di offrire l’occasione agli autori esordienti di realizzare le loro opere prime, con la possibilità di utilizzare un teatro di posa per 5 giorni, appoggiandosi ad un testo drammaturgico. Prima di Teatroteka non avevo avuto alcuna esperienza teatrale. Il responsabile mi ha contattato per partecipare, poco prima del debutto di The Lure, a questo progetto chiamato “Teatro per la televisione”, un genere polacco molto particolare e famoso. Una cosa unica nel suo genere, che privilegia la qualità dei grandi testi e dei grandi autori. Questa idea era stata concepita inizialmente con le telecamere che arrivavano in teatro per riprendere in diretta. Per me è stata una sfida come regista, per rompere la tradizione che faceva considerare questi film come minori, volevo tentare di fare qualcosa di unico, di particolare. Per questa ragione nelle riprese dentro il teatro di posa fingiamo di essere in un altrove, mentre per i costumi ed il makeup i riferimenti sono immediatamente cinematografici. A proposito poi della tragedia greca, c’è la sepoltura di una persona cara infatti, cito l’Antigone, il rito di accompagnare il morto…

Questo movimento di rottura, questo bisogno di ricerca, sono una caratteristica del tuo cinema, sembra piuttosto evidente dalla contaminazione di generi, dal musical all’horror, dal thriller al fantasy, inseriti all’interno dei primi due film. Come trovi i contatti e le coordinate tra questi generi?

Ritengo che il protagonista o la protagonista impongano il carattere del film. Il film The Lure era un musical horror perché le sirene ballavano e nello stesso tempo divoravano le persone. Anche nel caso di Fugue è così, la protagonista ha dei vuoti di memoria ed io ho raccontato la situazione, combinandola con il fantasy tentando di entrare all’interno della sua testa. Io lavoro in maniera estremamente intuitiva, le mie protagoniste vengono dal nulla, poi accade qualcosa, e poi spariscono nel nulla, arricchite da quel mondo che nel frattempo hanno attraversato. Io racconto il viaggio, anche nel mio prossimo film, The Silent Twins (inserito nella sezione Un Certain Regard di Cannes 75) c’è un viaggio. Parlo di due gemelle, che rappresentano due lati diversi della personalità, un aspetto che mi attrae enormemente e sul quale lavoro in continuazione. Sia The Lure che The Silent Twins si riferiscono comunque a delle storie vere. Le sorelle di The Lure erano in realtà figlie di due genitori che lavoravano nei dancing e cantavano durante le serate danzanti, e queste sorelle vivendo in tale contesto scrivevano le proprie musiche, si immedesimavano molto in questa vita e la trasformavano in qualcosa di creativo. Ho usato l’escamotage delle sirene perché non avevamo i permessi di raccontare la storia, e ci tenevo, perché io stessa sono cresciuta in un ambiente simile.

Inquieto, poco rassicurante, strutturato per sottrarre eventuali ancore di salvezza e punti fermi, il tuo è un mondo invaso dal diverso o diventato estraneo, liberato dalle tensioni della memoria, spaventato dall’amore. Quali sono i registi che ti hanno influenzato, oltre a Żuławski, che mi sembra evidente, soprattutto guardando l’incipit di Fugue, che sembra una diretta citazione di Possession?

Le mie protagoniste sono piene di paure ed anche io sono piena di paure, quindi credo di fare questo cinema perché voglio che lo spettatore, vedendolo, si senta meno solo, perché in qualche modo io gli comunico che le paure, che pensiamo solo nostre, sono un fattore comune. Ovviamente Żuławski è un mio riferimento, Possession è un film bellissimo, ma confesso di averlo visto dopo aver fatto The Lure. Tutti mi dicevano di guardarlo! Ho seguito un corso di cinema al liceo. Quando avevo 15 anni, insieme agli altri ho iniziato a frequentare un cinema d’essai, e lì ho visto La strada di Fellini, Visconti, Antonioni, tre maestri che mi hanno in qualche modo formata. Tutti film che hanno cambiato il mio punto di vista sulla vita. Ricordo quando a 16 anni ho visto L’eclisse, con la storia dell’appuntamento a cui non si è presentato nessuno dei due, perché ciascuno aveva paura. In quella circostanza ho capito molto della vita, è stato un film che mi ha segnato molto.

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