"Tekken", di Dwight H. Little

Costruire una trama sulle basi di un picchiaduro è onestamente complesso. Ma gli spunti per confezionare un discreto film di genere ci sono tutti, persino sfruttati con bravura. Il tentativo pare quello di evocare film come Senza esclusione di colpi o Lionheart, dover però si poteva contare sul carisma del leggendario Jean-Claude Van Damme (guarda caso protagonista del film Street Fighter – Sfida finale). Il problema è che un'operazione del genere chiama alla visione un pubblico ben specifico, quello dei videogiocatori; un’audience molto esigente

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Erano gli albori dei mitici ’90. Probabilmente l’ultima epoca in cui, per divertirsi, si era costretti a coinvolgere altre persone. Gli amici alla villa e il pallone, il possesso del quale assegnava al fortunato di turno una sorta di status d’eccellenza, un potere decisionale fuori dal normale. E poi? Le sale giochi. I sensazionali cabinet con le manovelle e i bottoni. Ma bastava il bar del quartiere. Finita scuola, si chiedevano 200 lire alla nonna e si giocava. Il commodore 64, l’Amiga e le prime console erano roba per bambini benestanti. A casa forse si poteva avere l’Atari. Ma vuoi mettere?
Ed è in questo panorama che fa per la prima volta capolino il vero e indiscusso genere da salagiochi. Il beat ‘em up (il picchiaduro). Quale bambino non ha speso una piccola fortuna cercando di arrivare al boss finale? Double Dragon, Altered Beast, Golden Axe!
C’è un’ulteriore distinzione però, nella ramificazione del genere. I succitati erano picchiaduro a scorrimento (per completare il quadro, ti dovevi muovere orizzontalmente sullo schermo). La vera rivoluzione, quella che ha segnato il passaggio all’epoca moderna di videogiocatori, si ha con i picchiaduro a incontri. Un nome su tutti: Street Fighter. Diversi lottatori provenienti da tutto il mondo, ognuno con le proprie caratteristiche e la propria tecnica di combattimento. Oltre ai colpi speciali. Viene un po’ da sorridere ripensando a quanti sperassero realmente di riprodurre dal niente un hadoken o un oriuken. E giù botte, fino a Mr. Byson.
Molti ovviamente hanno emulato il capostipite con successo alterno, citando uno su tutti Mortal Kombat, versione splatter e assai più dark del genere.
Poi, col passare del tempo, il dilagare della tecnologia e la maggiore accessibilità sul mercato delle varie console, Street Fighter ha dovuto scontrarsi con l’evoluzione della specie. La magia del 2D si perdeva miseramente nel tentativo di passare alle tre dimensioni (tant’è vero che oggi, a quasi venti anni di distanza, ha ritrovato l’antico successo con un completo restyling mantenendo però il 2D).
Ed ecco che compare il primo gioiello fra tanti, per Playstation, sviluppato dalla casa giapponese Namco. Sfruttando la caduta del rivale, apre una nuova epoca. Tekken. La rivoluzione in atto. Anche qui, il meccanismo è lo stesso però con l’aggiunta della terza dimensione. Una storia non troppo profonda ma ben delineata e, di nuovo, giù botte. Enorme successo.
E visto che, nel lontano 1994, da Street Fighter un film era stato tirato fuori (due, se si conta il recente flop di Street Fighter – La leggenda), e di Mortal Kombat al cinema se ne sono visti un paio, Tekken non poteva essere da meno.
Ci troviamo in un futuro post-apocalittico; la multinazionale Tekken, capeggiata dal boss
Heihachi Mishima, controlla un mondo ormai alla deriva. Il megagalattico torneo Iron-Fist stabilisce il lottatore supremo, fra megasponsor, soldi e celebrità. Il giovane Jim Kazuma, il guerriero del popolo, ambisce alla vittoria finale.
Costruire una trama sulle basi di un picchiaduro è onestamente complesso. Ma gli spunti per confezionare un discreto film di genere ci sono tutti, persino sfruttati con bravura. Il tentativo pare quello di evocare film come Senza esclusione di colpi o Lionheart, dover però si poteva contare sul carisma del leggendario Jean-Claude Van Damme (guarda caso protagonista del film Street Fighter – Sfida finale).
Il problema è che un'operazione del genere chiama alla visione un pubblico ben specifico, quello dei videogiocatori; un’audience molto esigente. E ogni passo falso è considerato una bestemmia. Perché se si può comprendere la scelta di accantonare la componente fantasy del gioco, non si può però chiedere ad un purista di passar sopra a quelli che non sono propriamente dettagli. A cominciare dal ruolo cardine del figlio Heihachi, Kazuya, nel film spalla destra del padre, nel videogame gettato in un burrone dal genitore quando era un bambino per poi salvarsi e stipulare un patto con un demone, tornando a reclamare il diritto di nascita. Per finire con qualche scelta nel casting che poco somiglia ai modelli pixelati a cui ci si ispira.
Può però andar bene per un pubblico occasionale, ammesso che quest’ultimo sia davvero interessato.

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Titolo originale: id.
Regia: Dwight H Little
Interpreti: Jon Foo, Cary-Hiroyuki Tagawa, Kelly Overton, Darrin Dewitt Henson, Luke Goss, Mircea Monroe

Distribuzione: M2 Pictures

 

Durata: 92'

Origine: USA, Cina, Giappone, 2010

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