TELEFILM – Huff

Ideato e prodotto da Bob Lowry, “Huff” è il diminutivo del dottor Craig Huffstodt, interpretato da Hank Azaria. Il motore della storia, ossia delle (dis)avventure di Huff, inizia a carburare con un accadimento tragico: la morte di un giovane quindicenne omosessuale

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Tra le serie televisive che in questi ultimi tempi stanno spopolando in televisione, quelle dei medici in corsia sono sicuramente tra le più seguite in assoluto. Ad E.R. che da anni ha il suo pubblico affezionato, si sono aggiunti altri serial come Nip/Tuck , Dr. House e Grey's Anatomy, molto apprezzati dagli spettatori secondo gli indici di ascolto che regolarmente vengono pubblicati. A questi telefilm già consolidati dal punto di vista del gradimento del pubblico, dal 19 gennaio, Italia 1, propone in terza serata un nuovo personaggio che dà il titolo all'omonimo serial: Huff. Si tratta di una serie trasmessa negli Stati Uniti dal novembre 2004 al giugno 2006, nominata due volte ai Golden Globe Awards e  diffusa dal canale via cavo Showtime, ideata e prodotta da Bob Lowry. Sono stati girati 26 episodi – il pilot in Canada ed i restanti a Los Angeles –  in due stagioni e secondo indiscrezioni non è in programma una terza. Huff è il diminutivo del dottor Craig Huffstodt, interpretato da Hank Azaria, volto conosciuto nel cinema dove ha interpretato ruoli secondari ma sempre carichi di ilarità (E alla fine arriva Polly, Piume di struzzo) e voce della serie animata I Simpson. Il motore della storia, ossia delle (dis)avventure di Huff, inizia a carburare con un accadimento tragico: la morte di un giovane quindicenne omosessuale, paziente dello psichiatra, che si suicida con un colpo di pistola proprio durante una seduta. Un solo colpo fa dunque venire subito i nodi al pettine: già dalla prima puntata comprendiamo che i temi trattati dal telefilm non saranno certo dei più leggeri, cosa d'altronde impossibile quando c'è di mezzo  la malattia mentale, la depressione o il "male oscuro" come descritto a suo tempo dallo scrittore Giuseppe Berto. Da quel preciso momento, la morte del ragazzo, Huff vede crollare le certezze che si era costruito in anni di lavoro: dubita della sua serietà e del suo valore professionale, è divorato dai sensi di colpa per non essere riuscito ad evitare la tragedia.

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A tutto questo si aggiungono i problemi familiari: la moglie Beth (Paget Brewster), insoddisfatta della vita coniugale, Izzy (Blithe Danner che per questa interpretazione ha vinto 2 Emmy), madre invadente e rompiscatole che non riesce ancora ad accettare la separazione dal marito, Teddy (Andy Comeau), fratello minore malato di mente che la madre si rifiuta di vedere e il figlio Byrd (Anton Yelchin, apparso ultimamente sul grande schermo in Alpha Dog) troppo maturo per la sua età. Ingredienti dosati per creare un reticolo di storie incrociate che prendono forma puntata dopo puntata, dando vita ad un quadro sociale quanto meno allarmante. La crisi del nucleo familiare vista dall' "interno" è segno inequivocabile della crisi di tutto il sistema statunitense giunto al collasso e dove il sogno americano è finito nella pattumiera. Portavoce di questa società alla deriva è l'avvocato e amico fidato di Huff, Russel Tupper (Oliver Platt), autentico cuore pulsante del telefilm, semplicemente magnifico nella parte del professionista senza scrupoli, tossicomane, alcolista e puttaniere che alterna momenti di cinismo raggelante (false dichiarazioni ai giudici per tutelare i suoi clienti) ad altri di inspiegabile fragilità e timidezza (la paura di stare faccia a faccia con una donna durante una cena galante). Ad arricchire un cast gia di per sé importante, si aggiunge il padre di Huff (Robert Foster, l'indimenticabile Max Cherry  di Jackie Brown), ex ufficiale dei marines che ha abbandonato moglie e figli in tenera età per una donna conosciuta in Cambogia e Sharon Stone, che parteciperà, in veste di una paziente del dottor Huffstodt,  alla seconda serie per tre puntate. Una sottile ironia pervade ogni puntata di Huff, ironia tagliente che non attutisce ma amplifica la tragicità delle vicende narrate, infondendo una sensazione di ineluttabilità, di impossibilità di sfuggire al dramma che la quotidianità riserva con lucida spietatezza. Belle case e auto di lusso, sono solamente inefficaci palliativi che non mascherano un malessere cupo e profondo, segno palese di un decadentismo contemporaneo tutto occidentale. Dal punto di vista squisitamente formale, il telefilm è visivamente impeccabile: scenografie curate con maniacale precisione, immagini (s)travolte da una luminosità spesso abbacinante (in netto contrasto con la cupezza delle vicende narrate) ed una compattezza di racconto senza cedimenti, capace di catturare l'attenzione dello spettatore ad ogni episodio.

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