TELEFILM- La rivincita delle mogli

In attesa delle nomination agli Emmy, uno sguardo in anteprima a uno dei nuovi serial più amati negli USA, The Good Wife, tentando di capire il segreto del suo successo.

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Una scena del Pilot (Julianna Margulies e Chris Noth)

 

Sono i dettagli che fanno la differenza. Dettagli che nessuno noterebbe, ma che, invece, contano molto. Come un filo sulla giacca del proprio marito che, inondato da flash, sta annunciando a tutto lo stato le proprie dimissioni a seguito di uno scandalo in stile “Vallettopoli”. È da qualcosa di così apparentemente insignificante, che la macchina da presa cattura inesorabile, che si comincia a capire chi sia Alicia Florrick (Julianna Margulies- City Island, E.R., Canterbury’s Law, I Soprano, Scrubs) moglie, tradita e distrutta, ma ancora fedele, protagonista del serial The Good Wife, creato da Robert e Michelle King (già creatori del poco fortunato In Justice) e prodotto da Ridley e Tony Scott. Una serie che, nella stagione televisiva appena conclusa, ha riscosso ampio successo di critica e di pubblico   oltreoceano, portando a casa un Golden Globe e un SAG Award grazie alla Margulies e che, di certo, sarà tra i protagonisti delle nomination agli Emmy, che verranno annunciate a giorni.

 

 

Julianna Margulies and Mackenzie VegaMotivo di tale successo? L’attualità innanzitutto. I King non nascondono di aver preso diretta ispirazione dai vari scandali che negli ultimi anni hanno occupato le prime pagine di quotidiani e telegiornali: da Clinton a Spitzer, passando per Kerry. Tutti uomini di potere che, a causa delle loro debolezze, sono stati costretti a rinunciare a ciò che avevano conquistato. Accanto a loro, mogli che sono state sotterrate dal circo mediatico o che hanno fatto di necessità virtù, trovando in simili vicende la forza di risollevarsi (su tutte Hillary Rodham Clinton). Ma ancor più dell’attualità, ciò che veramente colpisce è quello che c’è dietro la facciata: la zona grigia del potere, quella sottile linea che separa ciò che è lecito da ciò che non lo è e, soprattutto, l’impatto che un simile evento può avere sulla famiglia di chi, in prima pagina, c’ha (ri)messo la faccia.

 

Questo il punto di partenza della serie ambientata a Chicago che, più che concentrarsi sul Procuratore di Stato in rovina (Chris Noth- Sex&the City, Law&Order, Prigione di vetro, Baby Boom), si focalizza sulla moglie di quest’ultimo, come già suggerisce il titolo. Alicia è una donna che ha rinunciato ad una fiorente carriera d’avvocato per diventare una di quelle trophy wives che animano raccolte di fondi e tea parties e che, improvvisamente, si ritrova catapultata nel mondo del lavoro, costretta a diventare la breadwinner e a occuparsi dei figli al tempo stesso. Non c’è tempo per lacrime e commiserazione. Anche perché deve vedersela con il giovane Cary Agos (Matt Czuchry- Gilmore Girls, Friday Night Lights, Veronica Mars, Young Americans) nella lotta per conquistare l’unico posto da associato allo studio diretto da Will Gardner (Josh Charles- In Treatment, Six Degrees, S.W.A.T., Sports Night, L’attimo fuggente), suo vecchio amico dei tempi dell’università, e da Diane Lockhart (Christine Baranski- The Big Bang Theory, Mamma Mia!, Chicago, Piume di struzzo, Cybill), liberale allo stato puro. Alicia dovrà compiere un percorso che, durante tutta la prima serie, la vedrà crescere come donna e come avvocato, scoprendo che il mondo non è così come lo si vedeva dalle sue lenti colorate di rosa, ma che, per andare avanti, bisogna scendere a compromessi e accettare anche ciò che non piace. Sono i suoi dubbi, le sue insicurezze, ma anche la sua determinazione che riescono a far immergere lo spettatore nella storia, mai banale, anche nella parte più propriamente procedural del telefilm. È nella cura con cui sono delineate le relazioni tra i personaggi, soprattutto quella tra Alicia e Kalinda (Archie Panjabi- Un'ottima annata, A Mighty Heart, Life on Mars, Sognando Beckham, The Constant Gardner), nello spazio lasciato alla loro sfera più prettamente privata e intima, nel modo in cui le storia orizzontale si lega ai casi settimanali che si riesce a cogliere quella cura per i dettagli di cui parlavamo all’inizio. Nulla è lasciato al caso. Anche grazie ad una regia sempre più tesa verso il cinema. Una scena di The Good WifeLa macchina da presa coglie gli sguardi, il non detto che passa tra i personaggi e li inquadra in spazi che rappresentano un correlativo architettonico del loro stato d’animo. Se all’inizio Alicia è sempre colta di corsa tra corridoi, aule, stanze fatte di vetro, in cui sembra un pesce rosso tra tanti squali, alla fine la ritroviamo, in quegli stessi ambienti, a proprio agio, il ritmo è più rilassato, la macchina da presa più stabile, i colori più caldi e le stanze meno enormi, segno che il pesce rosso è diventato un po’ pescecane. Non più una storia del tipico self made man americano né quella di una rampante donna in carriera bensì l’umanità che gli implacabili flash dei fotografi non riescono a cogliere, la forza che solo situazioni in cui o si nuota o si affonda tira fuori.

 

Nell’attesa che The Good Wife arrivi anche in Italia (probabilmente da settembre su Raidue), non ci resta che vedere se anche gli Emmy ne rimarranno affascinati.

 

 

Dietro le quinte del telefilm

 

Scena del Pilot

 

Julianna Margulies ai SAG

 

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