Terminator, di James Cameron

Il vero esordio nella regia dell’autore canadese è anche il film che onora una tradizione, mentre si pone in una posizione dialettica nei confronti dei maestri. In sala il 30 giugno e 1 Luglio

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Il fatto che James Cameron abbia lavorato come autore dei fondali per 1997: Fuga da New York ci fornisce il collegamento giusto per ribadire lo status pienamente carpenteriano del suo reale esordio nella regia (mettendo quindi da parte la sfortunata parentesi di Piranha Paura, da lui diretto solo parzialmente). Ché Terminator è essenzialmente un film che fa proprie le direttrici visive e, in larga parte, anche tematiche dei primi capolavori carpenteriani: il gigantesco e invincibile cyborg di Arnold Schwarzenegger è in fondo una versione cibernetica del Michael Myers di Halloween, la sua presenza minacciosa si esprime attraverso sinuose soggettive, mentre è il contatto con il suolo a produrre quel continuo rialzarsi che ha quasi il sapore di una rigenerazione dopo che i proiettili lo hanno crivellato e abbattuto (qualcuno una volta citò con intelligenza il mito del gigante Anteo e il suo rapporto con la madre terra Gea).

Di concerto con il direttore della fotografia Adam Greenberg, Cameron mette in scena uno spazio metropolitano alieno, dove la notte ha “una tonalità fredda, quindi blu”, per usare le parole che furono di Dean Cundey (che aveva fotografato proprio Halloween e Fuga da New York), e fagocita i personaggi descrivendo spazi stretti che favoriscono il gioco di ombre e di sovrapposizione fra le figure. Non è un mistero, dopotutto, che Cameron elabori visivamente le opportunità offerte da spazi che vengono continuamente ridisegnati dai giochi di luce e si permetta, in questo modo di sovrapporre spesso la sagoma dell’eroe Kyle Reese a quella del malvagio Terminator. L’ambiguità (carpenteriana anch’essa) è inevitabile in una storia di salvezza che però è anche preparazione alla guerra per la giovane Sarah Connor, dove perciò passato e futuro si sovrappongono e si confondono, con il paesaggio post-nucleare che trova un contrappunto negli invasivi innesti odierni di macchine da lavoro, automobili, camion, armi e persino oggetti meccanici d’uso quotidiano come il walkman o la segreteria telefonica. Non a caso, a decidere il fato non è la componente umana, quanto il potere di una pressa (ovvero una macchina) in uno scenario da guerriglia vietnamita (dove i corpi devono strisciare sul pavimento e confondersi nel paesaggio) riletto attraverso l’estetica del metallo.

saraCiò che Cameron sfoggia di suo – oltre al solito, chirurgico potere di una scrittura che non sbaglia un colpo – è quel senso di matericità che descrive uno spazio dove il corpo di carne e quello di metallo si trovano a lottare e a coesistere, operando letteralmente una ricostruzione del mondo che è tale quando investe direttamente quella dell’uomo. Ecco dunque il feticismo nella descrizione del corpo del cyborg, i punk, i metalli che penetrano nelle carni con un piacere quasi splatter che non ritroveremo nelle future pellicole dell’autore: gli Ottanta, dopotutto, sono stati gli anni che hanno sempre messo il corpo al centro dell’immaginario e che, nello stesso tempo, ne hanno ipotizzato possibili reinvenzioni, operando fra lo spazio, il tempo e le metamorfosi del caso. Per questo l’umano e il meccanico si sovrappongono e si confondono, mentre l’azione subisce continue accelerazioni e rallentamenti, come nella magistrale sequenza in discoteca, quasi una prefigurazione di quella di Collateral.

Così, Cameron mette in scena una storia futuribile, ma pienamente addentro al suo tempo, dove si onorano i modelli, ma ci si pone anche in una posizione dialettica nei confronti dei maestri: Carpenter, certo, ma anche il Ridley Scott di Alien (un discorso che proseguirà con il successivo Aliens), il veterano Roger Corman (di cui viene simbolicamente ucciso l’attore feticcio Dick Miller) e certe vaghe suggestioni alla Star Wars, per il senso epico di una singola narrazione che contiene il destino di un mondo. E quando la narrazione si apre e si libera da qualsiasi dicotomia e sovrapposizione, c’è spazio per l’unico momento di felicità fra un uomo e una donna, la cui unione genera il ricongiungimento del presente con il futuro.

 

Titolo originale: The Terminator
Regia: James Cameron
Interpreti: Arnold Schwarzenegger, Linda Hamilton, Michael Biehn, Paul Winfield
Distribuzione: Uci Cinemas
Durata: 104′
Origine: Usa, 1984

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