Terrestrial Verses, di Ali Asgari e Alireza Khatami

Il ritratto ad episodi ben riuscito della vita quotidiana di Teheran, tra i soprusi e le angherie di un sistema che limita la libertà ed i diritti. Un certain regard

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Niente meglio della quotidianità può raccontare lo stato di cose di un paese come l’Iran, attraverso le consuetudini di un sistema oppressivo che dirama i suoi tentacoli fino a coprire ogni aspetto della vita dell’individuo. Il film Ali Asgari et Alireza Khatami è strutturato in piccoli episodi, ognuno studiato per mettere in risalto l’assurdità di una burocrazia a carattere religioso pervasivo, e mostrare come le limitazioni della libertà emergano continuamente a tracciare il perimetro del consentito. Il plausibile diventa l’unità di misura del controllo e veste di volta in volta gli abiti della vessazione. Un distretto di polizia, un semplice negozio d’abbigliamento, l’ufficio di presidenza di una scuola sono le cornici di un carnefice rappresentato sempre in fuori campo, mentre la macchina da presa indugia sullo sconcerto delle vittime umiliate dall’abuso di potere, e le loro reazioni diventano il termometro del presente.

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Lo sfondo macroscopico è Teheran dove milioni di persone vivono una guerra ininterrotta ai lati opposti di un fronte ipotetico, che la divide: una moltitudine in cerca di normalità ed un’altra composta dai fanatici del regime dietro cui nascondono i propri soprusi. Censura e ricatto, ed una legge sacra da esibire come giustificazione contro il peccato di volere un’esistenza ordinaria priva di stupidi divieti. La morale è abbastanza chiara, il male non si nasconde nell’ombra, è radicato nel territorio e si alimenta grazie alla corruzione e le delazioni. Il tono complessivo è in linea con la premessa di normalità e di poco artefatto, e le drammatiche conseguenze nascono da un clima dai tratti aberranti, provocando lo sdegno dopo aver soffocato una risata amara.

Per Ali Asgari si tratta della terza partecipazione al Festival di Cannes, dove in precedenza ha presentato di cortometraggi, Bishtar Az Do Saat e Il silenzio. Anche per Alireza Khatami, con un passato da assistente di Asghar Farhadi, si tratta di un ritorno sulla Croisette dopo il passaggio alla Quinzaine con il corto La Nouvelle adresse de M. Chang. Regredito dopo la rivoluzione Khomeinista, ormai passato remoto, i diritti civili in Iran hanno subito una drastica battuta d’arresto, riservando alle donne la condanna più pesante, quella di essere il bersaglio preferito dei fondamentalisti, come il film non manca di rimarcare. La piccola durata, poco più di settanta minuti, non intaccano l’enorme valore politico di denuncia e la potenza del messaggio, una voce che con il suo disappunto intelligente, nei modi e nei tempi ordinati spinge a lottare ogni giorno contro chi vorrebbe ridurti al silenzio.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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