Tertio Millennio Film Fest 2021 – Mondi in collisione

La sezione lungometraggi del concorso di Tertio Millennio gira paesi e confessioni per attivare un contatto, favorire il dialogo tra popoli e culture, e riflettere su discriminazione e lotta

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Per la venticinquesima edizione, il Tertio Millennio Film Fest, Festival cinematografico del dialogo interreligioso, avvicina dei mondi e cerca punti di contatto tra realtà anche molto distanti. I lungometraggi selezionati in concorso sono otto, una raccolta di riflessioni sulla vita e sul cinema. E sullo sfondo un mondo, stanco eppure combattivo, che piange ma cerca testardo un sorriso. De Oost di Jim Taihuttu racconta di un conflitto poco lontano nel tempo, nel 1946 ad essere precisi, in Indonesia. La guerra è un disastro. Non ci sono mai giustificazioni o motivi tali da renderla meno devastante, porta con sé lutto e disgrazia. Contamina, contagia, utilizza la paura e provoca reazioni bieche, ed i segni del suo passaggio marchiano per sempre. A combattere sono gli occupanti olandesi, fedeli ancora a principi di dominio coloniale, e i ribelli autoctoni, in nome di un’idea di indipendenza. Quelli dopo la Seconda Guerra Mondiale sono anni di grande fermento in questo senso e gli imperi sono costretti ad abdicare quasi ovunque, in linea teorica, salvo detenere nel tempo concessioni di sfruttamento di risorse a data indefinita. Ma questa è un’altra storia. Il film racconta di un giovane soldato, Johan, arrivato nel sud est asiatico a difendere gli interessi della patria. Nel racconto c’è la sua discesa agli inferi, la progressiva perdita di umanità, la presa d’atto di essere loro stessi vittima di semplici presupposti, creati appositamente per coprire l’avidità e una banale volontà di potenza. L’esame di coscienza occupa uno spazio molto ridotto, la linea scelta dal regista è piuttosto interessata a registrare le violenze, la crudeltà, il cameratismo, dentro un vortice asfissiante. Lo sguardo indugia sull’orrore e lì resta, sulle esecuzioni a bruciapelo, gli stupri, il linguaggio da caserma pieno di espressioni di disprezzo. La via dell’inferno lastricata di cattive intenzioni. Resta un senso d’angoscia, tuttavia manca il riscatto, manca il sudore della morte, nonostante la fotografia dai toni caldi il ritmo resta glaciale.

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Sogni di grande nord è un diario di viaggio di Dario Acocella. Protagonista è Paolo Cognetti, interessato a raggiungere l’Alaska, e precisamente a raggiungere il famoso bus dove venne ritrovato il corpo di Christopher McCandless, reso celebre dal film Into the Wild. Una visita ad un moderno santuario della libertà, esempio indie di un modo alternativo di intendere la vita. Ammesso il modello basti per darle poi un senso.Tra declamate citazioni di figure di riferimento artistico, da Thoreau ad Hemingway fino a Carver, lo scrittore intraprende l’avventura, accompagnato da un complice. Le immagini riprendono paesaggi patinati, da cartolina, monti, laghi, fiumi, sostenute da una voce narrante preoccupata di spiegare l’urgenza della missione e fissare l’andatura di marcia. L’apporto dialogico funziona da supporto ed ulteriore integrazione, una forma più intima, sorta di confessione work in progress. Abu Omar di Roy Krispel comincia con un prologo. Ci ricorda di un gran numero di bambini palestinesi con malattie cardiache curati negli ospedali di Israele. Il figlio del protagonista è uno di questi, ma non è guarito, è morto. Si inizia da qui, da un padre che prende la salma di suo figlio e la infila dentro una borsa, per portarla al villaggio e dargli una degna sepoltura. L’attivazione di uno stato di emergenza, tra muri e check point, gli impedisce di passare il confine. E con questa spina nel cuore è costretto a vagare lunga la linea dell’ostacolo, cercando il modo di superarlo. A lui si aggiunge una ragazza israeliana, incinta. La vicenda è solo un altro modo di affrontare l’eterno conflitto tra due paesi condannati ad odiarsi. Le conseguenze sono al solito distribuite sulle spalle della parte debole, mentre la politica intransigente resta il primo sostegno alle frange fanatiche della popolazione. Ma al regista preme soprattutto catturare una vicinanza emozionale, a togliere strati di distanza e trovare punti in comune, constatare di una fragilità e di un dolore ai quali non serve un passaporto per presentarsi alla porta. E porre rimedio ad una solitudine, trovando un’altra occasione, e una cura, un rimedio, ad un’anima spezzata due volte, dalla tragedia e dagli ostacoli insensati.

The sleeping negro di Skinner Myers affronta il delicato e sempre attuale tema della discriminazione razziale, puntando lo sguardo su un protagonista tutto sommato integrato nella comunità bianca. Lo stato dormiente sarebbe la ribellione a questa specie di anestesia, ad un’accettazione passiva di uno stato di subalternità ormai talmente radicato da essere considerato la norma, ed invece si dovrebbe accompagnare a indignazione e proteste. Il risveglio avviene smontando pezzo pezzo i tentativi di convivenza, esasperando i punti di divisione per portare a galla lo scontro sottostante. A quei nemici cresciuti in una culla di superiorità vanno aggiunti poi i traditori della causa, schiavi di retorica e disinformazione di massa e sordi alle sirene di allarme. La trama esile approfondisce gli argomenti isolando il protagonista in una bolla scontrosa, mentre  la fotografia restituisce un’ambientazione da cinema del reale. Il finale amaro mette un punto alla vicenda, ma lascia aperti molti interrogativi, se pensiamo all’uguaglianza, al possibile, alle occasioni, tutto ancora subordinato ad una disponibilità considerata una concessione.

Il programma è completato da Il Capitano Volkonogov è scappato di Natasha Merkulova & Aleksey Chupov, una parabola postmoderna con elementi di un thriller mistico. La storia cupa di un carnefice che all’improvviso scopre di avere un’anima. Un’anima che ha bisogno di essere salvata, recitano le note di regia. Rehana di Abdullah Mohammad Saad, che dopo essere stato presentato nella sezione Un certain regard del Festival di Cannes, ora è candidato per il Bangladesh come miglior film straniero per la prossima notte degli Oscar. Il film segue la protagonista Azmeri Haque Badhon, che lavora come assistente professore in un college di medicina, la cui vita cambia quando assiste a un incidente. Al cento per cento (À plein temps) di Éric Gravel, un dramma sociale con i tratti di un thriller, e per finire, last but not least, il bellissimo Miracol di Bogdan George Apetri, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia, a conferma dello stato di grazia del cinema rumeno.

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