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Testa o croce?, di Matteo Zoppis, Alessio Rigo de Righi

La scommessa è di ridefinire l’universo dei due registi attraverso l’immaginario western. Non tutto si integra alla perfezione, eppure è innegabile la lucida teorica.

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Testa o croce? testimonia sin dal titolo la volontà di una scommessa. Quella di ridefinire l’universo del cinema di Matteo Zoppis e Alessio Rigo de Righi, sempre così preciso e localizzato nelle sue origini geografiche e antropologiche, attraverso l’immaginario western. Detto così è semplice (e “infatti lo è, detto così”, avrebbe ribattuto qualcuno). Ma, in verità, una scommessa in parte simile era stata già tentata e vinta con Re Granchio. Seppur giocata in uno scenario e in un orizzonte diverso, forse più letterario che cinematografico. Qui, invece, la partita si fa più dura perché si va all’essenza del cinema, al genere che è sempre stato specchio delle idee e delle questioni di una società. E che in Italia, ovviamente, ha trovato una sua declinazione di “secondo livello”, profondamente caratterizzata per toni, figure, situazioni, temi. Una tradizione a cui Zoppis e Rigo de Righi non sembrano guardare con particolare attenzione, se non, forse, per le sue declinazioni parodiche e per la riflessione leoniana sui meccanismi spettacolari e la dimensione mitica del western.

Perché il punto centrale della riflessione dei due registi riguarda sempre il momento in cui la parola, il racconto orale si trasforma in mito. E i modi in cui l’immagine possa restituire il mistero di questa trasformazione. Ed ecco l’altro problema posto dalla scommessa. Individuare Buffalo Bill come uno dei personaggi cardine delle vicende, ma, soprattutto, come narratore del film, va chiaramente in questa direzione. Perché se il Buffalo Bill Wild West Show ha contribuito a celebrare e a diffondere il mito del West, lo ha fatto a costo di una semplificazione e di una volgarizzazione da baraccone. E, non a caso, la scelta di Zoppis e Rigo de Righi di affidare il ruolo a John C. Reilly, con il suo volto sempre tutto sommato bonario, è perfetta per “addomesticare” il lato selvaggio dell’epopea. E creare lo scarto necessario a porre la domanda. Cosa resta dell’aura di una leggenda nel momento in cui si fa spettacolo e si cristallizza in un’immagine? È la questione più interessante e vitale di Testa o croce?, nonché, in qualche modo, la conseguenza naturale di un discorso iniziato sin da i tempi di Belva nera e de Il solengo.

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Tutto parte da una vicenda reale, la tournée di Buffalo Bill in Italia e a Roma, nel 1890, culminata nella famosa sfida tra i cowboy americani e i butteri maremmani. Una storia che, naturalmente, nella memoria popolare e nel racconto “da osteria” (quello da cui è sempre partita l’ispirazione di Zoppis e de Righi), si è caricata di invenzioni fantastiche, innesti, superfetazioni. E che, perciò, qui si complica in una storia di fughe d’amore, di soprusi di potere, di rapporti di classe, di rivoluzioni tentate. E di donne che cercano di trovare la loro rotta in un mondo di uomini. Cioè un intricato aggrovigliarsi di linee e di suggestioni, dentro cui, più di una volta, il film rischia di smarrirsi. Ma che i due autori riescono a tenere insieme, grazie alla trasversalità e la distanza del loro sguardo ironico. Che non ha paura di mostrare l’assurdo di una testa (di Garcia) parlante. E che è il riflesso della consapevolezza teorica dell’operazione

Certo. Non tutto si integra alla perfezione in Testa o croce? Se è esatta l’intuizione di trapiantare l’universo western nella Tuscia o, meglio, di guardare quei luoghi come lo scenario naturale di un’avventura western, i due mondi sembrano però mantenere una certa distanza. Come se l’immagine di Zoppis e Rigo de Righi, sempre diretta, immediata nel restituire la verità dei volti e l’essenza dei luoghi, non si trovasse poi perfettamente a proprio agio nell’evocazione del genere e nella gestione dei momenti più genuinamente spettacolari. Eppure la lucidità di individuare i nodi problematici rimane innegabile. Così come la capacità di questo cinema di trasformare la sua radice “realistica” in un viaggio di scoperta, un portale per un’altra dimensione. Come nella splendida scena della caccia alle rane.

 

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Regia: Matteo Zoppis, Alessio Rigo de Righi
Interpreti: Nadia Tereszkiewicz, Alessandro Borghi, John C. Reilly, Peter Lanzani, Mirko Artuso, Gabriele Silli, Gianni Garko
Distribuzione: 01 Distribution
Durata: 115′
Origine: Italia, USA 2025

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
Sending
Il voto dei lettori
3 (15 voti)
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