#TFF33 – Giorno 4 – (ri)Nascita

Nascita come “Evento” nella sezione Onde, come “Paura” nella sezione After Hours, come “Libertà” nel Concorso, come “Seduzione” in TffDoc. Una interessantissima giornata al Torino Film Festival

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Nascita. Come nel misterioso e “primitivo” Nascimento di Martin Mejia Rugeles (Sezione Onde). Un film che istantaneamente si perde nell’attesa dell’evento degli eventi, cogliendone i naturali sentori mentre filma il tempo di una stasi sublime. Una famiglia che abita e lavora in stretto contatto con la foresta e con un fiume: una madre, due fratelli pescatori e una ragazza incinta che sfida le proprie paure perché “il bambino non deve averle”. E poi lo scorrere dell’acqua che impressiona l’immagine (e la pellicola in 16mm, qui…) donando la vita a quella stasi (veramente inquadrature impressioniste di rara potenza), donando il cibo per ogni nascita (il ciclo della pesca) e donando uno specchio in cui riflettersi e immergersi. Ecco: film è la fotografia di uno stato d’animo. Uno stato d’animo magico, ipnotico e bellissimo. E nonostante piccoli dubbi etici sul finale, filmando la nascita, il giovane Rugeles ci regala un film che sa parlare un linguaggio primitivo delegato a singole immagini che significano ancora.

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Cambiamo sala, cambiamo sezione, in After Hours allora. Hellions – notevole ritorno alla regia di Bruce McDonald – configura invece la paura della nascita. Quella di una giovanissima protagonista che il giorno di Halloween viene a sapere di essere incinta, poi di essere abbandonata dal proprio ragazzo, infine lasciata sola dalla madre per un intero pomeriggio. E allora l’horror inizia a scomodare molto “classico” nelle sue referenze, in un film che pian piano scivola verso atmosfere malate e paure primitive, costruite con pazienza da una cifra stilistica che alla lunga risulta decisamente efficace. I fantasmi della paura di una ragazza incinta vestita da Angelo (beh, gli archetipi base ci sono proprio tutti qui…) si materializzano in bambini-mostri-assassini che “attaccano” la casa e la famiglia, s’impadroniscono delle vite amiche e degli oggetti personali, rovesciano le atmosfere fatate di Oz in quelle perturbanti di Halloween, in una lisergica fotografia che cattura gli occhi.

 

Nascita come intima consapevolezza di libertà, poi, in Coma: film siriano/libanese presentato in Concorso. La regista Sara Fattahi rinchiude le sue tre donne (di tre diverse generazioni: nonna, madre, figlia) in un palazzo di Damasco al centro della tragica guerra-civile odierna. Sentiamo e avvertiamo la guerra in fuori campo, sciolta nel quotidiano, tra un caffè e una soap in Tv. Ecco: il lato più interessante del film è proprio l’utilizzo dei media, della cultura popolare, con il tappeto sonoro di una Tv che segna il tempo della vita e della paura. Uno spunto molto interessante, questo, presto sprecato però dall’ansia di “dire” troppo e subito della regista. Il reitero di dialoghi ridondanti che sottolineano ciò che le immagini mostrano ampiamente, intasa il film di simbolismi decisamente marcati e ne depotenzia di molto l’impatto emotivo. Peccato, perché il film ha anche intuizioni interessanti.

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L’Accademia delle Muse di José Luis Guerin

La nascita è anche il tema nascosto di questo strano e fascinosissimo ibrido del grande José Luis Guerin: L’Accademia delle Muse (presentato nella sezione TffDoc). La nascita della seduzione, potrebbe quasi dirsi. Il cinema di Guerin, del resto, continua a inseguire la sua immaginaria Musa/Sylvia: ne pedina il desiderio (En la Ciudad de Sylvia) e l’immagine del desiderio (Guest), per poi metterne in dubbio ogni possibile teorizzazione (in quest’ultimo film). Come di diventa Musa? Come si oltrepassa il confine del corpo per diventare parola (letteratura), suono (antico) e poi finalmente sentimento (immagine mentale) che travalichi il Tempo? Il professor Raffaele Pinto e le sue studentesse (aspiranti Muse?) pian piano scrostano il Mito di una donna passiva e da contemplare invertendone il segno in Musa attiva e creatrice, che segni la nascita dell’opera attraverso la seduzione. Una filosofia, però, messa in profonda discussione dalla moglie di Pinto che la immerge in empiriche “prove” e ne contesta gli assunti con la vita vissuta. Insomma un film molto ironico e libero, che non rinuncia mai al piacere della provocazione e che ha tutti gli stilemi di un documentario…ma non lo è! Perché “è tutta finzione” come dice il regista. Ma ne siamo sicuri? In fondo si sta indagando il meccanismo umano e sociale dell’attrazione e del Mito, c’è veramente un confine tra documentale e finzionale qui? È un falso problema…

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Under Electric Clouds, di Aleksey German Jr

Cambiamo sezione (Festa Mobile), cambiando sala, cambiamo “mondo” questa volta. Under Electric Clouds, di Aleksey German Jr. Ecco: qui ci si trova di fronte ad un film (probabilmente mai nato…) che libera miracolosamente il nostro sguardo e lo disgiunge dalla parola, che configura lo spazio (la Russia contemporanea) come un oltre-mondo e un oltre-linguaggio, nutrendosi in ogni immagine del Grande Schermo ma nel contempo liquidando la sua istituzionalità più blindata. Un Hard to be a God a 100 anni dalla Rivoluzione, in attesa di foschi presagi, dissolvendo ogni architettura (fisica e immaginaria) con inquadrature di una purezza miracolosa nelle quali (come scrive Sergio Sozzo nella sua recensione): il senso di questa magnifica e ultraterrena “opera aperta” e’ tutto nel considerare l’idea di incompiutezza (propria del tentativo di suonare uno strumento per cui non esistono partiture) come un immenso atto d’amore nei confronti della vita, della tensione che ci spinge (noi e la mdp di German) ad avvicinarci agli altri, in qualunque dimensione essi si trovino. Ri-nascita, allora.

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