#TFF33 – Giorno 5 – Luoghi

Il tema dei luoghi diventa centrale nel momento in cui si ragiona sui film e sulla loro essenza. Ni le ciel Ni la terre, Morituri, Colpa di comunismo

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Se il cinema è anche radicamento dello sguardo nello scenario che l’autore ci propone, tanto da condizionare, stabilire, i termini della visione con l’adattamento dell’occhio alla prospettiva e alla profondità di campo, il tema dei luoghi diventa centrale nel momento in cui si ragiona sui film e sulla loro essenza. Tre ci sono parsi quelli utili per questa comune caratteristica. Già Aleksej German o Sophie Deraspe con intenti differenti hanno lavorato sui luoghi per costruire le proprie storie. Il primo per trasformare i luoghi del reale in metafisica contemporanea della rovina di una Russia antica, l’altra per rappresentare il progressivo sciogliersi del disagio e del consolidarsi del sentimento dentro un paesaggio inospitale. Quindi il cinema non potrà mai fare a meno dei luoghi come quintessenza del racconto.

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Clemente Cogitore ha compreso molto bene la lezione e l’ha applicata al suo Ni le ciel Ni la terre della sezione TorinoFilmLab. Una pattuglia di stanza in Afghanistan difende la propria posizione tra le ruvide pietraie del Paese. Il resto è vuoto immenso. È la terra di Allah e i soldati che occupano quel suolo spariscono rapiti da forze oscure. C’è un mondo accanto al mondo, c’è un mondo dentro il mondo e c’è un mondo attorno al mondo. L’occidentale non comprende e a nulla serve la mediazione del ragazzino che oppone come soluzione l’inspiegabile forza di un mistero. I militari si fidano delle proprie apparecchiature tecnologicamente sofisticate, insufficienti però a mettere in collegamento i mondi del reale e quello metafisico. Cogitore lavora abilmente e costruisce un film a più piani di lettura e la sua storia, carica di magica, quanto malevola essenza, assomiglia a quelle di Buzzati, con gli stessi profondi sgomenti già appartenuti a Il deserto dei Tartari. Racconto di svelamento oscuro che offe la visione di un cinema che fa della narrazione il suo punto di forza e finalmente per un film ambientato nell’Afghanistan in guerra, senza ideologie e tesi da dimostrare. Ni le ciel ni la terre possiede la capacità di raccontare la forza percettiva dell’oriente e, in una memorabile sequenza, farne epifania immediata, svelando inattese e nascoste verità.

Colpa-di-I luoghi dell’odissea del nostro presente, sono quelli attraversati da Ana, Elena e Micaela le protagoniste del film di Elisabetta Sgarbi, Colpa di comunismo nella sezione del Concorso. Un film che si divide tra l’impianto aderente alla non fiction e un desiderio di narrazione che si fonda soprattutto sulla scrittura di dialoghi in cui si recita il reale.
Colpa di comunismo racconta il girovagare da Sassoferrato a Polesella, passando per Ferrara, delle tre protagoniste in cerca di occupazione. La regista lavora sulle anomalie della sua ibridazione, cogliendo a tratti elementi e frammenti di verità, come lo sguardo su un’Italia tutta uguale, sempre più anonima nei suoi percorsi marginali oppure nelle sospensioni che la macchina da presa si concede sui volti delle protagoniste. Ma il desiderio di narrare prende il sopravvento, mentre il film si fa più emozionante quando mostra i sentimenti.
Colpa di comunismo forse non ha trovato il passo giusto e il suo limite comincia la dove finiscono altre visioni che sono intervenute sugli stessi temi. Pensiamo al cinema del “nostro” Corso Salani o a quello altrettanto misurato di Maura Delpero. Colpa di comunismo avrebbe dovuto avere più coraggio e con minore desiderio di racconto di fatti, raccontare il cuore delle persone. L’innesto tra le due forme di cinema avrebbe fatto forse emergere altre verità silenziosamente covate dentro i volti di Ana, Elena e Micaela, un ribollire sotto la cenere così ricco di umanità e solo una parte è finita dentro le immagini del film.

segre2Altro luogo che obbliga lo sguardo è quello, ristretto e malinconico che Daniele Segre ci offre in una eterna (è il caso di dirlo!) inquadratura dentro la quale si sviluppa il suo Morituri, presentato nella sezione Festa mobile/Palcoscenico.
Il cimitero è il luogo e diviene teatro, palcoscenico di una vita che sembra ostinatamente continuare dopo ogni morte, di una vita che si prende gioco della morte e lo fa attraverso tre personaggi, tre donne. La prima vende i fiori rubati al cimitero nei ristoranti e vivacchia con improbabili telefonate erotiche, l’altra lavora al cimitero e parla con i morti, la terza è una vedova ancora in lotta con il marito defunto. Il film è un unico sguardo, un’unica prospettiva, riducendo ogni scenario e limitando ogni immaginazione. Teatro filmato che esclude il cinema. Morituri sembra decretare la fine di ogni possibilità di sguardo. Un cinema quindi che non c’è, che imita la televisione, senza la stessa carica di elementare, ma intenso divertimento. Che sia simbolica l’ambientazione cimiteriale? Come dicevamo il cinema è radicamento e prospettiva di sguardo che produce fascinazione, qui purtroppo mancano questi requisiti e Morituri si richiude in uno sradicamento di ogni immaginazione che ogni storia e ogni immagine dovrebbe contenere.

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