#TFF33 – Keeper, il film vincitore (#TorinoSense7)

Keeper del belga Guillaume Senez ha vinto il Festival di Torino. Piccolo film non allineato, né particolarmente trasgressivo in opposizione alla retorica del ruolo materno rispetto a quello paterno

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Il film comincia con un appassionato bacio tra Melanie e Maximilian, due teenager forse appena usciti da scuola. La sequenza potrebbe fare riaffiorare alla memoria il cinema di Rohmer. La stessa aria di giovanile sfrontata complicità e la stessa luminosità di un en plain air che ricorda quel cinema così apparentemente semplice. Ma le similitudini si fermano qui. Senez non intende costruire una storia sulle orme del regista francese e invece ci si prepara ad un film nervoso e non privo di una sua originalità pur nello sviluppo di una storia che sembrerebbe aspirare ad una soluzione secondo i tratti della più banale convenzionalità.

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Melanie ha quindici anni e si scopre incinta di Max suo coetaneo. I due ragazzi scelgono di tenere il bambino. I genitori di lui, che è una promessa del calcio, sono separati e si offrono di aiutare i due giovani mantenendo un basso profilo. La madre single di Melanie, si oppone a quella decisione. Dapprima allontana la figlia e poi la riaccoglie in casa. Max verrà privato della gioia di una piena paternità e dovrà accontentarsi, fino alla maggiore età, di vedere il figlio solo per qualche ora presso l’istituto che lo ha accolto su decisione di Melanie e della nonna materna.

KEEPER_02Il cinema più popolare e la cultura dominante ci hanno costretto a doverci scrollare di dosso una insopportabile retorica sulla maternità, viatico insostituibile per una altrettanto facile enfatizzazione della famiglia nella sua composizione canonicamente accettata e cavallo di battaglia di ogni politica che tenda a difendere esclusivamente, nella conservazione, il nucleo familiare nella sua classica formazione. Senez, che di nazionalità è belga, non vive di questi complessi e confeziona un film che va controcorrente, pur rispettando i canoni generalmente riconosciuti in fatto di formazione familiare. Max è dapprima incerto e confuso, poi si dimostra pronto, nonostante la sua giovanissima età, ad affrontare la paternità. Melanie che sembrerebbe la più determinata, in linea con la generalità dei personaggi femminili, cede e si abbandona al volere della madre che ostacola i progetti della giovane coppia, spegnendo ogni speranza di felicità e soprattutto escludendo Max da ogni scelta sul futuro del nascituro e impedendogli ogni contatto con Melanie.

Verrebbe da dire che si tratta del racconto di una delicata storia d’amore, ma il tema del film non ci pare sia questo. Senez non è interessato allo sviluppo della storia d’amore tra i due ragazzi quanto, piuttosto, all’indagine sui ruoli dei suoi personaggi. I ruoli che le regole sociali hanno più o meno inconsapevolmente affidato a ciascuno e come la trasgressione di quei ruoli possa mettere in crisi perfino l’idea di famiglia pilastro fondante di ogni società. Max rompe le regole e finisce con il diventare un esempio di coraggio quando, nonostante la sua giovanile passione per il calcio, riesce a praticare la rinuncia, KEEPERdifficile e dolorosa, comprendendo che la scelta del figlio sia prioritaria rispetto all’altra. Melanie, invece, nel pieno rispetto di un ruolo di sottomissione, abbandona l’ostentato coraggio davanti ai comportamenti della madre che risulta essere il vero personaggio interamente negativo della vicenda.
Max diviene quindi un esempio di paternità consapevole secondo una scelta meditata nel rispetto di regole che determinano sempre i suoi comportamenti. Un originale scambio di parti rispetto a quella retorica di cui si diceva. In questa diversità, neppure troppo esibita e sottolineata, ma connaturata al personaggio di Max, sta anche l’originalità di un film non allineato, ma neppure particolarmente trasgressivo.

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