#TFF34 – Los decentes, di Lukas Valenta Rinner

Los Decentes (A decent woman), diretto da Lukas Valenta Rinner, rimane schiavo di una premessa vincente volendo a tutti i costi trovare una risposta ad un’opposizione affascinante. In concorso.

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Tutti proviamo a sfuggire dalla noia o da uno stile di vita che non ci appartiene fino in fondo. Los Decentes (A decent woman), diretto da Lukas Valenta Rinner, ci narra proprio di una condizione inadeguata, di un’insofferenza nascosta e al tempo stesso evidente, soprattutto nei piccoli gesti. Belèn lavora come domestica in un’abitazione privata. La casa si trova in un parco residenziale, sobrio quanto lussuoso, alla periferia di Buenos Aires. Non appena scopre l’esistenza di un complesso vicino, una comunità di nudisti dalle abitudini bizzarre, decide di riemergere da una boccia di vetro che sembra soffocarla.

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Persi in un tedio condiviso dalla stessa protagonista, Iride Mockert, nella prima parte della pellicola seguiamo pazienti le incombenze del suo impiego senza riuscire a penetrare, se non parzialmente, in una personalità che risulta tutt’altro che indifferente. Il parco presso il quale è impiegata, famiglia compresa, è una sorta di Ave Maria City, un Eden pressoché perfetto dove, oltre alle casette in puro stile American dream, trova

decentwoman_01 spazio perfino una luce e un paesaggio impressionista fin troppo tratteggiato, schiavo di una composizione studiata a tavolino. La demarcazione tra il complesso residenziale stile La donna perfetta e la comunità pseudo hippie è talmente marcata, viene da chiedersi se il cineasta sia un amante del “servizio completo”, ossia la restituzione di un concetto in ogni minimo particolare. Nel momento in cui Belèn abbandona i panni di domestica e una relazione in erba minata da un imbarazzo carnale, riscopre una vena non solo erotica ma istintiva, tribale. Basti pensare alle frequenti percussioni che ammortizzano, per fortuna, una dilatazione scenica snervante.

Come la Venere del Botticelli, il sesso e i seni scoperti, i lunghi capelli che pendono verso il ventre, la protagonista si presenta alla soglia della sua nuova famiglia, una conventicola che protegge il mito del buon selvaggio, o almeno così crede. Lukas Valenta Rinner tenta la strada della provocazione, ma non la percorre fino in fondo. La tematica avrebbe infatti meritato un affondo più aggressivo. Tutto è compresso in una bolla che non losdecentes_890x470eriesce mai a scoppiare. I delicati siparietti comici, assolutamente volontari, svaniscono quando la novità ha fatto il suo corso. Il contatto con la terra, i corpi e i piaceri che la comunità va ventilando, svaniscono di fronte ad una abbottonatura narrativa di cui non possiamo non sentire la mancanza. I conflitti, anche se accennati, nella casa e nel parco dove Belèn lavora, sono assurdamente più interessanti. Perché? Probabilmente perché nessuno è interessato a vedere lo stato etereo al posto dell’umanità nuda e cruda, anche se ingabbiata in un castello dorato. La vera recinzione è la cricca di naturalisti, murati vivi in azioni da video arte abbastanza ridicole. Lo sbaglio più grave è stato permettersi di trattare la materia viva come insulsaggine per glorificare qualcosa che non può esistere. Il salvataggio in extremis con un epilogo ammiccante ed erroneamente spettacolare rischia di vanificare la premessa intelligente.

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