#TFF34 – Maquinaria Panamericana, di Joaquìn Del Paso

Maquinaria Panamericana, diretto da Joaquìn Del Paso e presentato al TFF34, è una storia grottesca dove l’esasperazione e la disperazione condividono lo stesso campo di gioco. In concorso.

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Sembra non ci sia nulla di diverso sotto il sole della Panamerican Machinery Inc., una ditta specializzata nella vendita e nella riparazione di materiali edili. E’ un venerdì mattina. Tutti gli impiegati si trovano o si stanno avviando alle loro postazioni. Il responsabile, come al solito, li esorta, a ricercare la gioia e a sfuggire dalla mediocrità, insomma un fitto discorso motivazionale alla stregua di Tutta la vita davanti. Purtroppo, all’insaputa di tutti, il presidente si trova morto nel suo ufficio. L’evento condurrà la banda di lavoratori a rinchiudersi entro le mura della ditta e a sfornare le reazioni più svariate.

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Joaquìn del Paso, nativo di Città del Messico, porta a Torino il suo Maquinaria Panamericana, già premiato in vari festival e nominato come miglior film alla scorsa edizione della Berlinale. Nonostante la possibile tentazione di trattare l’argomento “fabbrica messicana” come lo si è fatto nella scorsa campagna presidenziale USA, ossia soffermarsi

map-still-04sull’evidente sudditanza del Messico ai vicini del Nord, il regista ci offre una visione di “compagnia” nel senso lato del termine. Distrutti dalla dipartita del boss, chi per il dolore chi per essersi ritrovato in mezzo ad una strada, gli impiegati imparano ad elaborare il lutto. Inaspettatamente però, si crea un microcosmo a metà tra comfort zone, The Bad Batch, e scenario di esasperazione/disperazione gustato dai più a furia di bicchieri di una sbobba rossastra. Tutti vogliono un pezzo dell’anima del padrone. Tutti, anche inconsapevolmente, lo veneravano come un guru dalle mille grazie. Ma tutti, più che seppellirlo, sembrano preoccupati dal setacciare in lungo e in largo l’edificio alla ricerca di documenti che possano salvare le loro tasche.

In questa folla di esauriti, alcuni addirittura avvolti nella carta igienica, pochi sono i personaggi visibilmente scossi. Fra questi: il custode, un giovane dal viso serafico che ci accompagna per i terreni del luogo sulle note di una chitarra melodica. Altro personaggio caratteristico è un anziano, da quarant’anni in servizio, che ogni giorno ha un compito Quentin Tarantinospecifico piuttosto bizzarro… Maquinaria Panamericana non può non essere una pellicola fatta di volti. Lo sviluppo è talmente rinchiuso in se stesso da poter respirare solo attraverso i polmoni di ciascun dipendente. Il loro smarrimento di fronte al Dio morto è fonte di confusione anche per noi. Tutti i dettagli della ditta, ripresi maniacalmente, provano a restituire un’affezione che si è dissolta nelle acque sotterranee. La figlia del presidente, l’unica a trovare del raziocinio in un coacervo di matti, è però anche l’unica a esaltare la figura dell’uomo come uomo. Ma non lo era, o quasi.

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