#TFF34 – Wir sind die flut (We are the tide), di Sebastian Hilger

Nel film del tedesco Sebastian Hilger le potenzialità evocative del mistery metafisico sono solo parzialmente messe a frutto, Hilger avrebbe dovuto rinunciare al troppo che contorna il film

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Per il esordio alla regia nel lungometraggio Sebastian Hilger ci offre un film realmente diviso tra fisica e metafisica. Il suo giovane protagonista è un ricercatore universitario che conosce molto bene le leggi della fisica. Viene attirato da un episodio accaduto una quindicina di anni prima. Sulla costa baltica la marea si sarebbe ritirata per sempre e l’inquietante episodio è stato accompagnato dalla scomparsa di un gruppo di adolescenti che sembrano essere stati risucchiati da questo evento. La sua indagine scientifica, condotta con la figlia del rettore dell’università, lo porterà ad intuire una realtà che non obbedisce alle leggi della fisica.
In un’atmosfera simile a quella creata da Egoyan per il suo Il dolce domani, la storia creata dal regista tedesco, prova a lavorare su un tema del tutto estraneo alle corde della cinematografia tedesca e il suo interesse non sta tanto nella costruzione della storia che viene narrata con un andamento ellittico e (tutto sommato) sintetico nelle sue varie (troppe) componenti, quanto piuttosto sulla struttura di questa narrazione, i cui passaggi we-are-the-tidefondamentali sono resi più eclatanti da una colonna sonora che segue passo passo l’evolversi della vicenda. A volte però questa indagine sembra incepparsi, come se si volesse sempre dire altro, come se costantemente le immagini dovessero raccontare un’altra verità. Hilger si allontana dalla severa tradizione tedesca, da quella necessità assoluta di separare il bene dal male in modo netto e preciso, e con il cinema, che a tratti cade in un didascalismo inatteso, intende scrutare quella zona scura che sembra appartenerci naturalmente riuscendo, miracolosamente a non firmare un’opera pretenziosa e magniloquente, ma che possiede una sua ambizione che però non mantiene del tutto le promesse. We are the tide corre il rischio di volere raccontare troppo, disperdendo quella potenzialità visiva che invece Hilger possiede e avrebbe avuto modo di approfondire proprio con un film come questo. Le potenzialità evocative della vicenda sono solo parzialmente messe a frutto e una maggiore focalizzazione sulla bella intuizione di realizzare un mistery metafisico avrebbe giovato con un migliore risultato finale. Hilger avrebbe dovuto rinunciare al troppo che contorna il film che pur nella sintesi nuoce alla sua linearità e disperde il fascino che le immagini sanno evocare. Si dovrebbe dire che nel complesso sia un buon esordio, con qualche tratto di smarrimento, che diviene visione scontata o sovraccarico narrativo. Il film sarebbe stata un’occasione per osservare e indagare sul mistero della vita e soprattutto su quello della labilità della vita. È proprio su questo versante che il film sembra perdere di tensione e l’ambiziosa forza del progetto affievolirsi e il finale, in una ambigua sovrapposizione tra protagonista di oggi e quello del passato, pur riflettendo una continuità narrativa tradisce questa debolezza e resta un po’ di frustrazione.

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