#TFF35 – A Window on the World, di Axel Ohman

Axel Ohman vive, studia e guarda New York con una dolcezza commovente, scegliendo il “vecchio” Super 16 come supporto video e il romantico bianco e nero come supporto immaginario. Onde.

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Questo film è un racconto urbano su come si diventa obsoleti”, dice il giovane regista svedese… ma la progressiva obsolescenza (della pellicola) cos’altro è se non vita? Axel Ohman vive, studia e guarda New York con una dolcezza commovente, scegliendo il “vecchio” Super 16 come supporto video e il romantico bianco e nero come supporto immaginario. Immergendoci subito in una situazione limite: una tempesta di neve dagli esiti imprevedibili sta per scatenarsi su New York, la radio e la Tv non parlano d’altro, le strade sono semideserte e le metropolitane chiudono preventivamente. In questa atmosfera quasi metafisica Ohman inquadra lo skyline di Manhattan con echi alleniani e le strade deserte con echi naderiani, aprendo squarci di memoria (cinematografica) che ci appartiene come spettatori. Perché quelle inquadrature hanno una memoria affettiva che ci accomuna.

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Clovis e Kat, infine. Due solitudini, due vite semplici e il loro breve incontro: lui è un giovane operatore di borsa deluso dall’amore, irascibile, egoista e sempre sul punto di esplodere; lei una fotografa sognatrice, innamorata dei vecchi dispositivi analogici, in profonda crisi di coppia. La flânerie newyorkese li fa incontrare, inseguire, come in un fuori orario pre-apocalittico. E il loro brevissimo incontro si consuma in un bacio sulla fifth avenue, in un gioco fino all’ultimo respiro fatto allo specchio, poi in poche parole cariche di emozioni… prima che la vita sopraggiunga a complicare questo sfiorarsi di corpi.

Noi spettatori siamo lì dentro. In quell’inquadratura così accogliente e protettiva, che sfida l’apocalisse e bilancia ogni “fine”, rendendo bellissima la tempesta e memorabile ogni anonima stanza. Insomma questa trama esilissima (e a tratti perturbante) viene letteralmente “riempita” da un’esperienza estetica che sfrutta appieno l’obsolescienza della pellicola (e del cinema) dando vita all’immagine e universalizzando questa semplice storia. Si apre ancora una “finestra sul mondo”, appunto.

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